di Giannino Balbis
Chi ha già
incontrato la soaltà di Peralta, per
averne letto la silloge poetica del 2001 o la rivista fondata nel 2004,
entrambe recanti questo neologismo a titolo, ne ritrova ora, nell’ampia
trattazione che qui si pubblica, la compiuta e organica definizione teorica. La via dello stupore
nella visione est-etica della soaltà
è infatti una dichiarazione di poetica incastonata in una teoria estetica,
a sua volta articolata in un vero e proprio sistema filosofico. Se Peralta
sembra, con quest’opera, soddisfare una recente esigenza di sistematizzazione
del proprio pensiero in ordine alla poesia, alla bellezza, all’uomo e al mondo,
le radici dell’idea di soaltà – che
di questo pensiero è la sintesi fatta parola – sono di antica data e, in forma
via via più nitida, si propagano lungo l’intera sua parabola di intellettuale e
scrittore, dalla prima all’ultima silloge poetica (Il mondo in disuso, 1969; Sognagione, 2009, naturale complemento
di quella del 2001 già ricordata), ma anche nei principali saggi critici, tutti
significativamente dedicati ad autori e opere in cui Peralta trova stimolanti
riflessi di quell’intreccio realtà-sogno che è il cuore pulsante della sua soaltà (meritano di essere ricordati, in
particolare: Realismo e utopia in G.A. Borgese, 1990; Doleo ergo sum. L'iter poetico
di Salvatore Quasimodo da "Nuove poesie" a "La vita non è
sogno", 2003; In
principio fu la fiaba, 2005;
Buzzati.
Dintorni e oltre, 2006;
"L'infinito"
di Leopardi e "La poesia" di Neruda, 2007; Il ritorno di Orfeo, 2007; Dolce stil novo: echi d'amor corrente
tra letteratura e vita, 2008;
La poesia della vita e l'abolizione del
tempo in Proust, 2011; La morte il
mito la solitudine nell'opera di Cesare Pavese, 2012; Giacomo Leopardi. Il falso pessimismo, 2013)
Che cosa dire
della “bella trovata” della soaltà (così
Bárberi Squarotti) che già non sia stato detto? Franca Alaimo l’ha definita una
“visione coerente del mondo” espressa con “una terminologia originale che
poggia su una rete di relazioni analogiche, di sovrapposizioni concettuali, di
accorpamenti di parole e, perfino, su una sorta di procedimento sillogistico
operato sui significanti, da cui germinano nuovi e sorprendenti significati”; Cerniglia le ha attribuito “forza
visionaria e catartica”; la Monroy
l’ha accostata alla filosofia orientale e, in particolare, al Ching; per Scurria è un “discorso rivoluzionario,
sovversivo” che sfocia nella fondazione di una “nuova epistemologia”; per Sasso
è “visione profetica” e “canto ascetico”, in un linguaggio vivificato che
“attinge alle fonti del romanticismo”; Zinna ne ha centrato il fulcro “nel
superamento di ogni antinomia tra sogno e realtà”, richiamando l’affermazione
dello stesso autore (la soaltà nasce
dall’innesto di sogno e realtà, superando la loro tradizionale opposizione e
risolvendola in un rapporto di equivalenza, in un “dualismo libero da
contraddizioni”).
Al primo
fugace incontro, La via dello stupore
mi ha fatto pensare a Montale, agli “scorni di chi crede / che la realtà sia
quella che si vede”. Anche per Peralta, il mondo visibile è una sorta di
inganno, di velo di Maia che nasconde la verità delle cose; ma, a differenza di
Montale e dello stesso Schopenhauer, l’oltre
di Peralta non è vuoto o per sempre perduto e inconoscibile o astrattamente
metafisico, ma “luogo” concretamente immaginabile (se è lecito l’ossimoro),
seconda faccia della realtà e suo necessario complemento. Il mondo percepito
dai sensi è sì lo “schermo” montaliano su cui s’accampano i fantasmi del reale,
ma al di là di esso non c’è il desolato nulla bensì il fantastico proiettore
del Sogno e della Poesia. Credere in questa fonte di verità e sapervi attingere
– tramite l’innesto del Sogno sulla Realtà, appunto – garantisce il traguardo
della Bellezza ovvero una conoscenza finalmente “completa” del mondo, non più
parziale e superficialmente approssimativa, ma “intera”, integralmente vera.
La visione
umana si avvicina allora a quella divina, a quel vedere dall’alto e per sempre
e con assoluta pienezza di significato che è lo sguardo di Dio sul mondo (la
visuale anagogica che dalla patristica e dalla scolastica arriva a Dante), dal
quale, non a caso, prende avvio la trattazione di Peralta. Dopo i sei giorni
della creazione, nel settimo Dio può contemplare est-etica-mente la propria opera. Una simile contemplazione, alla
portata del primo uomo fino al peccato di superbia e alla cacciata dall’Eden e,
poi, di conseguenza, negata ai suoi discendenti, è tornata nelle possibilità
degli uomini capaci di cogliere il frutto della redenzione: riconoscendo in se
stessi, cioè, la presenza di uno “spazio sacro” – un tempio, un teatro,
nell’accezione più antica e più pura dei termini – destinato appunto alla con-templ-azione. Quello spazio è la
sede della poesia, dell’estasi creativa, la casa dello Spirito e della
Bellezza, in cui solo possono convivere la Realtà e il Sogno nell’unione
profonda della Soaltà. È l’epifania
che rivela “la vera natura del mondo e delle cose”. La soaltà è dunque trina: nello stesso tempo “è il sogno e la realtà
ed è il mondo costituito dall’unione di sogno e realtà”. È una “via dello
stupore”, nuova strada di conoscenza, “che fa assegnamento sulla ragione
rinvigorita dalla luce della Bellezza” e per la quale il tempo è “la forma
reale del sogno” e lo spazio è “la forma ideale della realtà”, essere e
divenire, essere e non-essere coincidono in unità assoluta e si esprimono nella
Poesia, canto universale dello sguardo che ha goduto della visione
dell’Essere-Bellezza e se ne fa messaggero.
Le matrici di
questo pensiero sono molteplici ed infinite sono le suggestioni filosofiche e
letterarie che se ne traggono. Alcune sono già state svelate (anche dallo
stesso autore): la mistica cristiana, Leopardi, Novalis. Molte restano da
approfondire. Accanto al Leopardi del primato poetico dell’immaginazione, per
esempio, sarà da mettere in conto l’ottica del fanciullino pascoliano, inclusa
l’utopia della salvezza del mondo attraverso la poesia (tracce su tracce,
allora, si dovrà pensare anche a Dostoevskij o al Todorov de La bellezza salverà il mondo, per
risalire fino all’idea aristotelica di poesia promotrice di conoscenza
universale); si dovranno verificare gli echi della Bellezza incarnata di
Winckelmann, mescolati al principio foscoliano della poesia come espressione di
un bisogno di religiosità e spiritualità. Ma, soprattutto, andrà chiarita
l’orma di Dante e, attraverso Dante, dell’estetica di Tommaso, in particolare
per quel che riguarda l’identificazione profonda fra i trascendentali del
bello, del buono e del vero.
La soaltà di Peralta, infatti, se da un
lato riafferma con forza il binomio arte-bellezza, gli riconosce una radice
religiosa (sul modello di Dante ma anche dei romantici) e gli assegna una
funzione salvifica – tutti principi perduti nella catastrofe post-moderna, –
dall’altro recupera, o per meglio dire
riporta in primo piano, quella sostanziale identità fra estetica ed etica che è
una costante – dichiarata o latente – di tutta la storia della filosofia (con
buona pace di Kierkegaard) e della letteratura (ad onta degli edonismi,
estetismi e a-moralismi più radicali). Certo, come avverte la Sontag, si può
correre il rischio che il giudizio sul bello venga colonizzato dal giudizio
morale, ma, se si riesce a scongiurare questa tirannia, si sfocia in una nuova
promessa – qual è la teoria di Peralta – di poesia come fondamentale, e forse
unico vero, strumento di conoscenza e di miglioramento dell’uomo e del mondo.
Bauman lamenta
che nella “liquidità” in cui viviamo non ci sia più spazio per gli ideali, men
che meno per un ideale di perfezione, se non in termini di “sogno il cui avveramento nessuno si attende
più”. Dunque, nel nostro tempo, l’idea di bellezza perderebbe ogni assolutezza
e durevolezza: il valore estetico non avrebbe più
orizzonte di eternità, ma solo caratteri di provvisorietà, perché schiavo della
moda e del consumo, reificato e mercificato. La soaltà di Peralta pone rimedio a questa deriva. E pone rimedio
anche a quel che lamenta Eco a riguardo del ruolo educativo, un tempo
esercitato da genitori e insegnanti ed oggi tragicamente delegato ai mass media
e all'industria culturale. Come è già stato giustamente osservato, la soaltà ha il crisma della palingenesi: è
teoria estetica, ma anche filosofia di vita, proposta di un nuovo e salvifico
galateo degli occhi, della mente, del cuore, nuova mirabile visione del mondo.