lunedì 26 gennaio 2015

LA VIA DELLO STUPORE NELLA VISIONE DELLA SOALTÀ


di Guglielmo Peralta


       
     Ci sono delle parole delle quali c'innamoriamo. Sono le parole sognate dai poeti. Nel loro suono c'è bellezza, c'è il respiro del cosmo, perché in esse vive lo spirito della Parola creatrice. Di una parola m'innamorai circa trent'anni fa. Essa venne a cercarmi attraendo la mia attenzione e facendomi viandante sulla via dello stupore. Soaltà è questa parola nuova, sbocciata all'improvviso come un fiore e che in sé unisce sogno e realtà. La via dello stupore indica un percorso da seguire per ritrovare quella sensazione di meraviglia che non siamo più in grado di provare. Ed è un cammino, un volgersi, innanzitutto, verso ciò che può e deve orientare i nostri passi nel mondo facendoci da guida, e cioè verso la Bellezza, la quale può illuminare e rinvigorire l'umana ragione dandole nuovo senno, destandola dal "sonno generatore dei mostri", nel quale essa, da troppo tempo, è sprofondata. Questo cammino è un modo di vedere, un modo di essere per la Bellezza, un adeguarsi e aderire ai sentimenti che questa virtù ci ispira: al Bene, o al Buono, innanzitutto, che è strettamente congiunto con il Bello. ("In principio", bellezza e bontà furono qualità inscindibili in ogni creatura, perché trasferite dal Verbo divino e contemplate da Dio stesso in ogni cosa creata).
        Dietro le quinte dell'occhio, il sogno apre il sipario del grande teatro interiore dove la Bellezza va in scena offrendosi al nostro s-guardo. È con questa visione, la quale rinnova i nostri occhi, che dobbiamo incamminarci, che dobbiamo guardare la realtà contemplandovi il sogno che la costituisce. Sogno e realtà non sono in contrapposizione. Sono strettamente congiunti, e soaltà è il nome che esprime questa loro unione. Il sogno non è ciò che appare durante il sonno, né il desiderio che accarezziamo ad occhi aperti, ma è l'idea, la rappresentazione che lo s-guardo creativo suscita e contempla e che poi si traduce in parole, opere, cose. La visione soale è un modo nuovo di conoscere il mondo, non attraverso i sensi che lo tengono fuori, ma attraverso lo s-guardo, attraverso questo senso interno, che lo riconduce «dentro», nel luogo della sua origine. La soaltà è in noi, ed è il mondo, nel quale convergono e si fondono le due realtà: quella umana del sogno che genera la natura seconda o artificiale, e quella divina della natura, da cui l’uomo trae la materia prima, la quale veste il sogno dandogli un corpo e ricevendone, a sua volta, la forma. In questa trasfigurazione e incarnazione del sogno, in questo suo andare oltre la propria figura per farsi realtà visibile restando invisibile, per farsi altro da sé restando identico a se stesso, c'è il grande realismo della visione soale, che attribuisce al sogno quella doppia realtà: interiore ed esteriore. Essere realisti, secondo il punto di vista della soaltà, è toccare il sogno nel corpo della realtà e costatare che essa non è solo materia, natura morta, ma spirito, perché tale è il sogno che la anima.


mercoledì 21 gennaio 2015





NOTE CRITICHE A SOGNAGIONE


La chiave di lettura dell'opera poetica di Guglielmo Peralta è tutta nella parola 'soaltà'. Un neologismo che serve a spiegare la necessità che il sogno – dietro o al di là delle quinte – si concretizzi in realtà.
'Sognagione' è la piantagione – o la stagione – dei sogni.
Il dilemma è sempre lo stesso; se può, la bellezza, sopravvivere al riparo dal mondo (chiusa a riccio ed in difesa contro il reale) o se – piuttosto – non sia il caso di realizzarla, destandoci.
Tra i versi più belli ricordo, infatti, quelli di 'Fuori scena': Destiamoci | al sogno | per crescere in | v i s i b i l i t à | Coltiviamo | sulla scena | il suo seme | di luce | affinché | il canto | fiorisca | tra gli applausi | e il mondo | apra gli occhi | allo stupore.
A cosa serve infatti la bellezza se non afferma se stessa e non invade, anche a rischio di finire? A cosa serve la conoscenza se non si concretizza in un gesto, nel qui ed ora?
Il sogno che si concretizza squarcia i sipari. Dice bene Franca Alaimo, nella prefazione al libretto (edito da The Lamp/Art Edition): la poesia di Peralta è un sistema filosofico, senza mai essere macchinosa costruzione ma, anzi, ponendosi come tracimazione del cuore e dell'intelletto. C'è, nei suoi versi, la compiutezza e la pacatezza che sono propri della terra e della coltivazione del seme.
La disciplina della costruzione, che parte dal piccolo per arrivare al grande, è presente in ogni verso ed in ogni sottolineatura. Guardiamo fuori | e in noi si apre | la scena.
Partecipare alle cose del mondo non vuol dire entrare a far parte del sistema, nè significa rinunciare alla propria essenza e sperdersi. Vuol dire, anzi, alimentare la capacità che l'anima ha di donarsi.
L'agricante (altro neologismo) è il poeta soale: colui che è agricoltore (che, dunque, della terra e della sua disciplina ha fatto un foglio di via), capace però anche di essere cantore e di tentare viaggi coraggiosi al di là del sé.
Ci sono echi, nei versi di Peralta, che ricordano il concetto dell'interconnessione. Siamo unico corpo, fusione di mente, materia ed anima. Siamo tutti parte di una sola cosa. E' tuttocielo | nel giardino | soale.
Di qui i rimandi ai simboli del Cristianesimo ed alla necessità di un progetto comune di rinnovamento del mondo, come sottolinea la Alaimo. Un progetto che unisca l'Est e l'Ovest del mondo, secondo il pensiero Kantiano di una comunità universale.
Solo allora i passi del poeta – e dell'uomo – conosceranno ...lo stupore del cosmo | E le cose | anche le piccole | e dimenticate cose | sogneranno il loro angelo.

Tullia Bartolini



Attraverso questi versi di «Sognagione» dell’amico Guglielmo Peralta, ci sembra di essere immersi e di vivere a pieno una "quinta stagione" in cui la Parola – ed essa soltanto – cerca di assicurare i presupposti per una intima sopravvivenza dentro un mondo che non concede spazi ad ogni tipo di libertà e quindi ad ogni tipo di sogno. Qui ogni singola parola è pensata, forgiata, scalpellata, e centellinata come deve ben convenire a chi vuole trasmettere la vera essenza di un discorso o la bellezza di una rivelazione, una parola maestosa e leggera allo stesso tempo che sembra voler supportare ogni vicenda umana che va sempre più precipitando. Parola come genesi, parola come manifestazione del primordio. Ma strada facendo ci si accorge che la sognagione è in definitiva l’unica stagione nella quale l’uomo dovrebbe vivere, con la consapevolezza degli eccessi verbali che tappezzano i nostri giorni, e con la dolce prorompenza di un fondamentale concetto che influenzi positivamente il vasto panorama delle coscienze.

Nicola Romano


Guglielmo Peralta ci propone, forse, una immagine “antroposofica” della Poesia intesa come percorso spirituale volto al ritrovamento/straniamento di luce/oscurità colte/coltivate dall’anima poetante nella loro primigenia imprescindibilità: la visione terrestre/celeste diviene manifestazione del bello del buono, dunque, del vero: epifanìa di un canto divino. Una lettura coinvolgente luminosa. Grazie del dono.

Maria Grazia Cabras


Guglielmo Peralta proponendoci un testo già apprezzato e premiato a Firenze, ci fa dono di un’estetica solo apparentemente appartata giacchè rientra, pur mescidando elementi lessicali e tematici da "massimi sistemi",in un più comprensivo quadro di esperienze di cui fanno parte conoscenza morale, storica, culturale e tecnica adoperate nel senso di una globale traduzione delle sue convinzioni in dati di poesia. La poetica di Peralta ha nella "visionarietà" dell’artista un processo creativo dentro al quale i coefficienti sostanziali sono in continua trasmigrazione, espressi con sorprendenti neologismi in grado di concatenarsi in liriche determinanti e interdipendenti. Accade pertanto che quasi al centro della raccolta, poesie come "La visita", "La luce buona del giorno" o "Nel divino splendore" la teorizzazione filosofico-teologale, diviene una proiezione continua dal passato al presente con una sintassi lucida, convinta e appassionata: "E l’uomo / che vinto si spiega all’ascolto / libera le neurostelle / per il convivio d’amore", ovvero "Allora nel tempio irrompe / l’universo / e sulla diafana scena inizia / la cielificazione". Questa poesia risulta, a me pare, dalla somma di due dilatazioni semantiche, la prima, carica di rigore e precisazioni (tutto il mondo di studio, riflessioni e scoperte del poeta)e l’altra con la sua suggestione, il suo mistero, i suoi contrasti, scaricando sul dettato poematico una grande forza simbolica, forza che attraversa tutto il libro fino alla splendida prosa finale, con il movimento incessante e a tratti mistico della vita interiore e la musica che sottolinea lo scorrere della vita nel suo procedere verso aspirazioni superne. Poesia che vola alta, senz’altro, ma in grado di sedurci nel qui e ora come un’elegia e non per questo meno nuova e accattivante.

Eugenio Nastasi


Grazie per questo "dono" di parole, immagini, "piantagione" e "stagione" di sogni, tanto spirituali quanto terreni, di luce e d’ombra, mediante una poesia assai scandita e sonoramente "musicale", senza però eccessi (così facili in poesia). Non ho ancora letto del tutto approfonditamente (come sono usa fare, nella mia/nostra quasi cinquantennale abitudine alla lettura-su-carta), e tuttavia già mi sono resa conto che si tratta di un testo poeticamente "visionario", come dev’essere. Grazie, caro amico, dunque del così natalizio dono, mentre molto mi ha coinvolto anche la nota introduttiva dell’amica Franca (Alaimo), del tutto illuminante. Un grato augurio e saluto

 Mariella Bettarini



Poesie ricche d’immaginazione, potrebbero scriverle molti, la sinestesia è prerogativa di pochi. Alla fine siamo nello sperimentalismo, e sono ancora meno quelli che lo praticano. L’impressione è che si tratti di poesia positiva, come a dire: non siamo poi lontani dalla comprensione dei fenomeni, si tratta di affinare le percezioni e ordinare la materia. Secondo me Larecherche.it è ’ricercata’ da neopositivisti talvolta sotto mentite spoglie, ovviamente mi ci metto anch’io. Vorrei destare la stessa simpatia che destano questi versi, che lasciano un senso di fiducia. Ci sono simpatici quelli nei quali abbiamo fiducia.

 Mazzarello



In questa mia prima lettura mi sono abbandonata al fascino della musicalità, delle immagini, dei "sogni".Come per la "Divina Commedia" almeno quattro sono le letture. Questa, allora, è solo l’orma del mio passo leggero nella "Sognagione". Scriverò presto qualcosa di più degno.

 Giorgina Busca Gernetti


Caro Guglielmo, dirti che le poesie di Sognagione sono "belle" è banale e riduttivo. Il tuo cammino è stato fruttuoso, da una concettualità filosofica sei approdato ad una poesia che, pur mantenendo il nucleo primigenio, ha sviluppato una cifra musicale sostanziata da un "messaggio" umanistico e spirituale. La tua poesia ha un suo proprio codice, riconoscibile e tuo, e questo, a mio avviso, è il vero risultato che conti per chi è poeta. I miei più affettuosi complimenti e auguri.

Anna Maria Bonfiglio



Un libro difficile, impegnativo. Dovrei ri-leggerlo o, forse, per dirla con l’Autore puntare lo s-guardo ad est, per lasciare che mi abiti: la Parola ha bisogno di un corpo che la ospiti. E’ un invito che, in tutta sincerità, non so se mi sentirò di accettare. Questo libro va ben oltre la richiesta al lettore di un plauso, le poesie non sono scritte perchè le si dica "belle", destinate ad un piacere estetico ma invitano ad una conversione est-etica. Ci vuole un intero cammino prima di poter affermare: "Sì, voglio mangiare il frutto di quest’albero". Al momento non sono pronta a cingere i fianchi e a tenere pronto il vincastro. Non so dove si possa trovare l’olio da mettere nella lampada.
Insomma, da un lato mi attrae dall’altro mi respinge.

 Maria Musik


Leggendo il suo libro subito ho notato la musicalità del Cantico ebraico in una raffinata dizione che trasporta. La sua filosofia è affascinante tanto da sfiorare l’utopia del sogno che in effetti esiste ed è reale.Le immagini che lei crea sono pittoricamente visibili. E’ riuscito a trasmettere nel libro la sua immaginata "Sognagione" meta auspicata di religiosità e oltre. E’ nel cammino del Cantico dei Cantici che l’amore si snoda nel testo dandoci una dimensione dell’oltre e della Bellezza.
Grazie infinite per questa lettura che nel pandemonio attuale è stata acqua ristoratrice.

 Liliana Ugolini


Queste poesie sembrano “insegnare” una percezione: operazione difficilissima, ma resa possibile attraverso il linguaggio della poesia, in cui i termini sensibili, evidenziati con una grafica diversa, “dimostrano” la teoria retrostante, che è anche un’aspirazione etico-estetica, dunque un modo di essere e di sentire. Il risultato è affascinante: ho avuto davvero la sensazione di trovarmi davanti ad una rivelazione! Non uno spettacolo qualunque o una scena ordinaria ma “lo” spettacolo della vita nello scenario della realtà ultraterrena. Ho provato a guardare ai simboli dell’albero, del pane, del vino, delle stelle, del giardino, (simboli già di per sé molto carichi) con un’ulteriore e nuova sfumatura percettiva e cognitiva. Leggere queste poesie è senz’altro anche un’avventura della mente, oltre che un’esperienza di pulizia percettiva. Sembra che sgorghino da un animo pacificato ma non ingenuo, un animo che ha effettuato numerose sottrazioni riguardo parti in-essenziali della realtà. Con lo sguardo ripulito, la stessa realtà risulta essere meno complessa e cupa di quanto possa sembrare ad occhi offuscati. Essa si evidenzia in modo disarmante agli occhi che sanno riceverne la luce e godere dei suoi frutti. La visione “soale” del poeta, del poeta-viandante (e, credo di intuire, del poeta tout-court, secondo la filosofia di Guglielmo Peralta), è senz’altro aperta alla speranza. In “Dentro, fuori”egli dice:“Ma sempre verde è la notte dal candido calice, dove sbocciano le stelle per incanto dove fiorisce l’albero dal fertile respiro del vero”. Particolarmente rivelatrice è la poesia “Messia”: come dice Franca Alaimo nella prefazione, la figura del poeta per molti aspetti si può sovrapporre a quella del Cristo, senza timore di eresia, perché il poeta comunque appartiene al mondo, a quella parte di mondo meno visibile, o, se si vuole, più visibile sul piano spirituale. Di conseguenza il sogno è molto più concreto di quanto non si possa pensare: è un progetto di vita, una missione.Quanto ho colto è stato molto meglio illustrato dall’autore nella sua post-fazione.Mi complimento con Guglielmo e lo ringrazio per il suo contributo. Molto appropriato ai tempi!


Loredana Savelli




Tra “Poesie e Disegni”, all’insegna dell’azzurro (colore che avvolge e favorisce un’immersione da parte del lettore in una dimensione onirica, dalla copertina all’evidenziatura di quelli che sono i termini chiave nella poetica dell’autore), si snoda il percorso tracciato nella Sognagione di Guglielmo Peralta.
Il poeta rivisita la parola inondandola di luce («l’implume | parola | culla | il suo | volo»), inseguendo un «sillabario celeste», nelle cui costellazioni «nasce | la parola cometa». Vocaboli di nuovo conio sono cristallo prezioso di versi la cui peculiarità fondante trae linfa da un solido sistema filosofico, da una chiara visione del mondo e delle sue potenzialità.
Ed è proprio “L’albero della visione”, dopo la prefazione di Franca Alaimo, a introdurre alla lettura: «Dammi Signore | la mia cecità | quotidiana | affinché io possa | mangiare | dell’albero | della visione». Risulta evidente come talvolta i versi possano frantumarsi per raccogliere la singola parola, esaltarla nel suo distacco dalle altre cui tende, lasciandole un suo spazio sacro, un respiro che dia chiarore a quanto la circonda. E, in tale contesto, la punteggiatura si fa superflua, rinunciabile.
Nei giochi di luce e ombra, chiari e scuri, bianchi e neri, nelle alternanze e intermittenze del giorno e della notte, tratteggiano un disegno sotterraneo, delineano i tratti salienti della percezione.
I luoghi comuni ubicati tra cielo e terra trovano nuove impronte descrittive, rappresentazioni interpretative peculiari di Peralta. «Soaltà», suo neologismo, è «Fusione di sogno e realtà», concetto che ci guida nell’accostarci alla sua produzione in versi. Approfondendo questa concezione egli, nel mese di dicembre del 2004, ha fondato la rivista monografica “della Soaltà”, cui sono poi state dedicate importanti presentazioni (tra le altre spiccano quella ospitata dalla Fondazione Lucio Piccolo e quella organizzata nello storico locale delle “Giubbe Rosse”).
La “Sognagione” rappresenta la «Piantagione (o stagione) dei sogni», ove incontriamo «l’agricantore» e i «frutti | sonori». E dai suoni si sprigionano colori, sinestesie, fasci di luce che proiettano in varie direzioni.
Peralta propone un ruolo attivo al poeta, la cui capacità di fondere sogno e realtà non va disgiunta dalla capacità di concretizzare, oltre a reificare, i contenuti, i materiali, della trama onirica. La bellezza e l’arte non vanno scissi dalla sfera etica; possono convivere con la quotidianità.
Fëdor M. Dostoevskij, nel Discorso su Puškin, scrisse: «La bellezza salverà il mondo.». Anche Giovanni Paolo II si era più volte soffermato su questo concetto, sottolineando in particolare come la bellezza sprigionata dalle parole possa salvare il mondo. Guglielmo Peralta si pone su tale solco.
I legami tra microcosmo e macrocosmo affiorano di continuo, tra illuminazioni e rivelazioni («le sinergie | celate»). L’unità del creato trova riflesso nella completezza di anima e corpo, anche nel più piccolo essere.
I versi vengono offerti con umiltà, come pane e vino, poiché «il linguaggio | è una vendemmia | di stelle per l’ebbrezza | del mondo». E non vi è limite al numero di lingue in cui si può sognare.
Serenità promana da questi versi intrisi d’azzurro, d’interiorità. Simboli cristiani («E la parola | è il golgota | e il sogno | la sua croce», nel “Messia”, accostato al poeta in modo ardito) vengono incorporati nell’anelito a una cooperazione universale (le brevi note, sapientemente dosate, sono un segno del tentativo di ulteriore avvicinamento al lettore, non di rado sfuggente), per una possibile palingenesi.

 Claudia Manuela Turco

SOGNAGIONE (e-book)

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 NOTE  CRITICHE A SOALTÀ


  Torino, 27 febbraio 2008
Caro Peralta,
Le sono grato del dono prezioso della Sua raccolta di poesie, accompagnata e chiarita dalla Sua dichiarazione di poetica davvero originale e appassionata. Mi piace la concettualità con la meditazione dei Suoi versi tanto profonda e sicura; e ammiro più specificamente i testi più inventivi e alacri fino al gioco sublime, compresi nella sezione “?uo vadis”. Quanto alla Soaltà, è una bella trovata, che molto incuriosisce e sollecita a riflettere; ma io faccio fatica un poco ad accogliere i neologismi. Mi piacerebbe discutere con Lei della questione. Con i più vivi auguri e saluti.
Giorgio Bàrberi Squarotti
Ma è vero che “il sogno è l’infinita ombra del vero”.




Caro Peralta, ho letto il suo libro di poesie (Soaltà). Esso mi ha messo davanti un mondo nuovo che non sospettavo, siccome vivente nella originalità, spesso ardita, del linguaggio e delle immagini che trascendono il reale nella realtà unica della forma che le esprime. Ne ho tratto il senso “nascosto” che è della celebrazione della poesia e della contemplazione della vita dell’uomo, della sua ricerca della verità che gli viene dal sogno e che lo fa “attore del sogno”, un sogno che lo sollecita all’azione (etica) e alla contemplazione (estetica) del mondo. Ma il libro merita altro approfondimento che, spero, potremo tentare insieme in qualche possibile incontro. Mi congratulo e l’abbraccio.
Suo
Giuseppe Cottone (Palermo, 4 Luglio 2001)



Singolare libro poetico quello di Guglielmo Peralta che rispetta con assoluta pienezza l’intento dell’autore di inaugurare degnamente con esso il nuovo secolo e millennio sulla linea fondamentale di una realtà sublimata nel sogno (donde il neologismo del titolo “Soaltà”).
Peralta dispone in effetti di un’eccezionale capacità di nominazione, il cui potenziale è chiaro in tutta la raccolta.
Questa la motivazione del 2° Premio (Fiorino d’Argento, XXI Premio Firenze, sezione A – Poesia edita)




SOALTA’: DALLA FUSIONE DI SOGNO E REALTA’. UNO SLANCIO CREATIVO PER GUGLIELMO PERALTA
La poesia di Peralta non percorre gli ordinari sentieri della denuncia della crisi dell’uomo contemporaneo, né si adagia in un lirismo tradizionale della natura contemplata attraverso emozioni e sentimenti, né ancora si lascia tentare dalle consuete dimensioni della memoria, del dolore e dell’autobiografismo, ma cerca di intraprendere le nuove strade della "soaltà". Lo stesso autore definisce questo termine come "un neologismo nato dalla fusione di sogno e realtà. Essa è, inoltre, una parola eponima, perché dà il nome, un nome unico, definitivo a quella regione profonda e misteriosa che chiamiamo…realtà interiore…" […] In conclusione la poesia di Peralta è una profonda ricerca sul significato dell’esistenza che – contrariamente al destino del pastore errante leopardiano – non si chiude nel non senso, ma trova sbocchi positivi nella trasformazione della soggettività interiore nel mondo, visto come risultato dell’idea e del sogno.
Michele Miano
(Pubblicato su Storia della Letteratura italiana. Il secondo Novecento, vol. IV Guido Miano, Editore, Milano)




La poesia di Guglielmo Peralta sembra, a prima lettura, una poesia ‘soft’ dai toni leggeri e morbidi. Ma se ritorniamo a rileggere più in là nel tempo lo stesso testo ci accorgiamo che dietro ad una cornice di timida efficienza si vela una poesia che morde e scava, una poesia che proviene dalle più remote cave dell’anima. Quello che più sorprende di questa poesia è che continua a scavare fra le libere maglie del pensiero del suo lettore, riconducendolo ad osservazioni di rare angolature.
Soaltà è una poesia che si dilata tra lo sperimentalismo e la poesia classica. Il titolo di quest’opera poetica di per sé ha la forza del nuovo, la prepotenza di un dinamismo che chiede spazio e rispetto. Soaltà è una ‘teoria’, è una preziosa malta di ‘sogno e realtà’ un genere di poesia nuova, che si presenta riservata, senza presunzioni, ma decisa e sicura nella formula per iniziare a dare corpo a tutto quello che può sembrare solo idealismo e fantasia. “Impariamo a sognare e impareremo a usare il mondo”.
Giovanni Dino




Di certo positivo è quanto sommuove – a livello emotivo – il neologismo: Soaltà.
A primo acchito sembra richiamare: l’indefinito e, immediatamente dopo, l’indefinibile. Di certo l’Autore è dotato di SINTESI: egli coniuga e congiunge due termini opposti di uno stesso quotidiano, estremi – equidistanti dall’uomo – da cui fare ripartire qualsiasi discorso etico ed estetico a cui dare o ridare un nesso deontologico (forse anche nuovo). Per un verso, apparentemente divertita sembra appalesarsi la frammentarietà di talune parole e, per un altro, del tutto seriosa, la colorazione di altre.
Nulla muta all’interno del neologismo. Ne intuisco la traiettoria.
Soaltà – postulato pluridirezionale, sottintende la masticazione di parole come adesione, comunicazione, incontro di unità o di entità…(Sublime = Spirito).
L’Uno e l’Altro, insieme, ricerca di parole che contengano lo specifico: il Senso dell’Universale, dell’Assoluto, della Storia…verso la convergenza: il Centro dell’Uomo.
Nino Balletti




A Guglielmo Peralta spetta soprattutto il merito di aver vivificato il linguaggio con espressioni personali, riaccendendo la lingua parlata, attingendo alle fonti del romanticismo, senza tuttavia abbandonare la ricerca di una limpida semplicità e l’invenzione/scoperta inesauribile del neologismo, il quale deriva dalla combinazione di sogno e realtà. Il poeta affida il valore della poesia alle rivelazioni dell’irrazionale, dando così sfogo all’alchimia della parola, fidando dei sogni e nelle visioni del cielo notturno, come nelle fonti di una verità parallela all’umana esistenza, le cui apparenze consuete possono essere superate solo per via della poesia. La poesia di Guglielmo Peralta riflette il sereno equilibrio spirituale raggiunto attraverso l’assidua frequentazione della poesia di Novalis e della poesia mistica cristiana. La sua poetica dell’oggetto poi si trasfigura incessantemente in luce, canto ascetico e visione profetica.
Francesco Sasso