venerdì 24 aprile 2015

UNA NUOVA MIRABILE VISIONE



    di Giannino Balbis


Chi ha già incontrato la soaltà di Peralta, per averne letto la silloge poetica del 2001 o la rivista fondata nel 2004, entrambe recanti questo neologismo a titolo, ne ritrova ora, nell’ampia trattazione che qui si pubblica, la compiuta e organica definizione teorica. La via dello stupore nella visione est-etica della soaltà è infatti una dichiarazione di poetica incastonata in una teoria estetica, a sua volta articolata in un vero e proprio sistema filosofico. Se Peralta sembra, con quest’opera, soddisfare una recente esigenza di sistematizzazione del proprio pensiero in ordine alla poesia, alla bellezza, all’uomo e al mondo, le radici dell’idea di soaltà – che di questo pensiero è la sintesi fatta parola – sono di antica data e, in forma via via più nitida, si propagano lungo l’intera sua parabola di intellettuale e scrittore, dalla prima all’ultima silloge poetica (Il mondo in disuso, 1969;  Sognagione, 2009, naturale complemento di quella del 2001 già ricordata), ma anche nei principali saggi critici, tutti significativamente dedicati ad autori e opere in cui Peralta trova stimolanti riflessi di quell’intreccio realtà-sogno che è il cuore pulsante della sua soaltà (meritano di essere ricordati, in particolare: Realismo e utopia in G.A. Borgese, 1990; Doleo ergo sum. L'iter poetico di Salvatore Quasimodo da "Nuove poesie" a "La vita non è sogno", 2003; In principio fu la fiaba, 2005; Buzzati. Dintorni e oltre, 2006; "L'infinito" di Leopardi e "La poesia" di Neruda, 2007; Il ritorno di Orfeo, 2007; Dolce stil novo: echi d'amor corrente tra letteratura e vita, 2008; La poesia della vita e l'abolizione del tempo in Proust, 2011; La morte il mito la solitudine nell'opera di Cesare Pavese, 2012; Giacomo Leopardi. Il falso pessimismo, 2013)
Che cosa dire della “bella trovata” della soaltà (così Bárberi Squarotti) che già non sia stato detto? Franca Alaimo l’ha definita una “visione coerente del mondo” espressa con “una terminologia originale che poggia su una rete di relazioni analogiche, di sovrapposizioni concettuali, di accorpamenti di parole e, perfino, su una sorta di procedimento sillogistico operato sui significanti, da cui germinano nuovi e sorprendenti significati”; Cerniglia le ha attribuito “forza visionaria e catartica”; la Monroy l’ha accostata alla filosofia orientale e, in particolare, al Ching; per Scurria è un “discorso rivoluzionario, sovversivo” che sfocia nella fondazione di una “nuova epistemologia”; per Sasso è “visione profetica” e “canto ascetico”, in un linguaggio vivificato che “attinge alle fonti del romanticismo”; Zinna ne ha centrato il fulcro “nel superamento di ogni antinomia tra sogno e realtà”, richiamando l’affermazione dello stesso autore (la soaltà nasce dall’innesto di sogno e realtà, superando la loro tradizionale opposizione e risolvendola in un rapporto di equivalenza, in un “dualismo libero da contraddizioni”).
Al primo fugace incontro, La via dello stupore mi ha fatto pensare a Montale, agli “scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede”. Anche per Peralta, il mondo visibile è una sorta di inganno, di velo di Maia che nasconde la verità delle cose; ma, a differenza di Montale e dello stesso Schopenhauer, l’oltre di Peralta non è vuoto o per sempre perduto e inconoscibile o astrattamente metafisico, ma “luogo” concretamente immaginabile (se è lecito l’ossimoro), seconda faccia della realtà e suo necessario complemento. Il mondo percepito dai sensi è sì lo “schermo” montaliano su cui s’accampano i fantasmi del reale, ma al di là di esso non c’è il desolato nulla bensì il fantastico proiettore del Sogno e della Poesia. Credere in questa fonte di verità e sapervi attingere – tramite l’innesto del Sogno sulla Realtà, appunto – garantisce il traguardo della Bellezza ovvero una conoscenza finalmente “completa” del mondo, non più parziale e superficialmente approssimativa, ma “intera”, integralmente vera.
La visione umana si avvicina allora a quella divina, a quel vedere dall’alto e per sempre e con assoluta pienezza di significato che è lo sguardo di Dio sul mondo (la visuale anagogica che dalla patristica e dalla scolastica arriva a Dante), dal quale, non a caso, prende avvio la trattazione di Peralta. Dopo i sei giorni della creazione, nel settimo Dio può contemplare est-etica-mente la propria opera. Una simile contemplazione, alla portata del primo uomo fino al peccato di superbia e alla cacciata dall’Eden e, poi, di conseguenza, negata ai suoi discendenti, è tornata nelle possibilità degli uomini capaci di cogliere il frutto della redenzione: riconoscendo in se stessi, cioè, la presenza di uno “spazio sacro” – un tempio, un teatro, nell’accezione più antica e più pura dei termini – destinato appunto alla con-templ-azione. Quello spazio è la sede della poesia, dell’estasi creativa, la casa dello Spirito e della Bellezza, in cui solo possono convivere la Realtà e il Sogno nell’unione profonda della Soaltà. È l’epifania che rivela “la vera natura del mondo e delle cose”. La soaltà è dunque trina: nello stesso tempo “è il sogno e la realtà ed è il mondo costituito dall’unione di sogno e realtà”. È una “via dello stupore”, nuova strada di conoscenza, “che fa assegnamento sulla ragione rinvigorita dalla luce della Bellezza” e per la quale il tempo è “la forma reale del sogno” e lo spazio è “la forma ideale della realtà”, essere e divenire, essere e non-essere coincidono in unità assoluta e si esprimono nella Poesia, canto universale dello sguardo che ha goduto della visione dell’Essere-Bellezza e se ne fa messaggero.
Le matrici di questo pensiero sono molteplici ed infinite sono le suggestioni filosofiche e letterarie che se ne traggono. Alcune sono già state svelate (anche dallo stesso autore): la mistica cristiana, Leopardi, Novalis. Molte restano da approfondire. Accanto al Leopardi del primato poetico dell’immaginazione, per esempio, sarà da mettere in conto l’ottica del fanciullino pascoliano, inclusa l’utopia della salvezza del mondo attraverso la poesia (tracce su tracce, allora, si dovrà pensare anche a Dostoevskij o al Todorov de La bellezza salverà il mondo, per risalire fino all’idea aristotelica di poesia promotrice di conoscenza universale); si dovranno verificare gli echi della Bellezza incarnata di Winckelmann, mescolati al principio foscoliano della poesia come espressione di un bisogno di religiosità e spiritualità. Ma, soprattutto, andrà chiarita l’orma di Dante e, attraverso Dante, dell’estetica di Tommaso, in particolare per quel che riguarda l’identificazione profonda fra i trascendentali del bello, del buono e del vero.
La soaltà di Peralta, infatti, se da un lato riafferma con forza il binomio arte-bellezza, gli riconosce una radice religiosa (sul modello di Dante ma anche dei romantici) e gli assegna una funzione salvifica – tutti principi perduti nella catastrofe post-moderna, – dall’altro recupera,  o per meglio dire riporta in primo piano, quella sostanziale identità fra estetica ed etica che è una costante – dichiarata o latente – di tutta la storia della filosofia (con buona pace di Kierkegaard) e della letteratura (ad onta degli edonismi, estetismi e a-moralismi più radicali). Certo, come avverte la Sontag, si può correre il rischio che il giudizio sul bello venga colonizzato dal giudizio morale, ma, se si riesce a scongiurare questa tirannia, si sfocia in una nuova promessa – qual è la teoria di Peralta – di poesia come fondamentale, e forse unico vero, strumento di conoscenza e di miglioramento dell’uomo e del mondo.
Bauman lamenta che nella “liqui­dità” in cui viviamo non ci sia più spazio per gli ideali, men che meno per un ideale di perfezione, se non in termini di  “sogno il cui avvera­mento nessuno si attende più”. Dunque, nel nostro tempo, l’idea di bellezza perderebbe ogni assolutezza e durevolezza: il valore estetico non avrebbe più orizzonte di eternità, ma solo caratteri di provvisorietà, perché schiavo della moda e del consumo, reificato e mercificato. La soaltà di Peralta pone rimedio a questa deriva. E pone rimedio anche a quel che lamenta Eco a riguardo del ruolo educativo, un tempo esercitato da genitori e insegnanti ed oggi tragicamente delegato ai mass media e all'industria cul­turale. Come è già stato giustamente osservato, la soaltà ha il crisma della palingenesi: è teoria estetica, ma anche filosofia di vita, proposta di un nuovo e salvifico galateo degli occhi, della mente, del cuore, nuova mirabile visione del mondo.