lunedì 11 settembre 2017

La via del sogno nella soaltà di Guglielmo Peralta

di Salvatore Lo Bue

     
      Alle volte, un gesto riassume una vita. E allo stesso modo, una parola riassume una vita. Così è questa soaltà di Peralta: un'attività che si realizza e si compie in un nome, in un neologismo che io   penserei di definire come nome della vita, perché è un nome impegnativo, è un gruppo di sillabe che rappresentano una sfida enorme. Perché sogno e realtà, in principio, sembrerebbero contrari, perché una cosa è il sogno e una cosa è la realtà; quando qualcuno non vede bene la realtà si dice normalmente che sogna e quando qualcuno è immerso nella realtà è lontano dal sogno. Eppure, il sogno, con Francisco de Quevedo, Calderόn de la Barca, Cervantes e Gόngora, diventa un elemento fondante della modernità, con una finalmente nuova accezione, rispetto all'idea di sogno che era stata presente nel medioevo e nell'antichità greca e latina, e cioè di un sogno produttivo, creativo. Ed ecco la via principale per comprendere la spiritualità e il senso del discorso di Peralta. Tutto è in un nome.  Nella Tempesta di Shakespeare, ripetuta da Pirandello nella commedia I giganti della montagna, all'improvviso, qualcuno stabilisce che la tempesta suscitata è una tempesta vera, nonostante non ci sia nessun sussurro, come dice Ariel, delle ossa di coloro che sono naufragati, ma non sono naufragati; che sono in quell'isola prigionieri, ma non sono in quell'isola prigionieri. E come si risolve il mistero? In una magia. Prospero è il mago, ma non il mago come lo intendiamo noi. Egli, come il mago Cotrone del testo pirandelliano, riesce a rendere vere le cose sognate, riesce a sognare ciò che diventerà vero. E da questa prospettiva, alla fine, ci riconosciamo tutti nella nostra vita come in una grande recita, dove le scene cambiano. Quale differenza c'è, allora, tra sogno e realtà; che cosa c'è di vero nel sogno, che cosa c'è di sognante nel vero? Qui siamo in un territorio radicalmente mistico, radicalmente platonico. Ci sono tutti gli elementi della rivelazione presentata nel Fedone e nel Fedro: la bellezza, la visione, lo sguardo, la memoria. E che cosa c'è di più reale delle idee platoniche? Niente, dal punto di vista di Platone, per il quale la ousia, l'essenza, è sostanzialmente questa unità tra sogno e realtà. Noi stessi che cosa siamo, se non questo contrasto tra la mente che sogna e il corpo che non può permetterselo per le sue catene, per i suoi limiti, per le sue tristi sorti. E allora noi abbiamo l'infinito sognare dell'anima e l'infinito perdersi nella realtà del corpo e siamo infelici perché abbiamo diviso l'anima-sogno dalla realtà-corpo. E naturalmente siamo in un mondo in cui, non sognando, il corpo viene o esaltato in tutte le sue follie o distrutto nella sua piena volgarità quando viene a mancare la dimensione del sogno.
      Lo sguardo è il tema di fondo di questa soaltà di Guglielmo Peralta. È un libro molto difficile perché la struttura, incredibilmente e intensamente stilistica, è complessa. Vi è presente una precisa e puntuale capacità di dissolvere le parole nelle loro componenti interne. Così, ad esempio, lo sguardo diventa s-guardo che, in virtù del trattino che separa, isola la «s» dal resto della parola, produce tutta una serie infinita di semanticità nuove. Questa nuova dimensione pensata da Peralta è fortemente e radicalmente mistica, fortemente e intensamente platonica e, al tempo stesso, moderna nella sua struttura originaria, rigorosamente secentesca. A volte, mi ha ricordato certe cantate di Bach perché tutte le scale della soaltà vengono in questo libro analizzate, riprese. Sembrano le pagine uguali, ma sono come le fughe del clavicembalo ben temperato; ci sono fughe una diversa dall'altra. Come sono opposti realtà e sogno, allo stesso modo c'è un luogo, come dice Hegel nella Scienza della logica, in cui l'essere e il nulla coincidono, e questo luogo è il divenire. Ma quale divenire? Non quello storico, perché la storia appartiene a un'altra dimensione, alle cose che sono accadute e non possiamo, perciò, cambiarle. Ma c'è un modo, una dimensione, in cui l'infinita libertà della mente, del pensiero, porta alle cose che potrebbero accadere in un'altra dimensione. Per Hegel, questo luogo, in cui essere e nulla s'incontrano, in cui sono lo stesso, è «il morire». Quanto al luogo, in cui sogno e realtà coincidono, esso è la poesia, è la parola. E la poesia e la parola sono la stessa dimensione della soaltà. La soaltà è l'essenza del poetico; è quello che nel “dvanialoka”, che è il testo fondamentale della poetica orientale indiana, veniva chiamato il «rasa», cioè l'essenza poetica che mette insieme ciò che non è possibile sia messo insieme: la realtà e il sogno. Gli studi di Guglielmo Peralta sono di alta poetica. Tornando alla radice, cioè alla Genesi, dobbiamo renderci conto che tra il Padre e il Figlio c'è la stessa differenza che c'è tra il sogno e la realtà. Perché Dio è il Sogno, il Figlio è la Realtà. Quando si arriva a creare il mondo, non viene detto: Dio creò; quando creò il cielo Dio disse: sia la luce, e la luce fu. Non esiste un creare senza un dire, non esiste un Dio o creatore senza la sua parola, non esiste un padre senza un figlio, ma soprattutto non esiste niente senza l'amore e lo spirito. E quest'amore è ciò che impregna ogni pagina di questo libro di Guglielmo.