mercoledì 21 gennaio 2015





NOTE CRITICHE A SOGNAGIONE


La chiave di lettura dell'opera poetica di Guglielmo Peralta è tutta nella parola 'soaltà'. Un neologismo che serve a spiegare la necessità che il sogno – dietro o al di là delle quinte – si concretizzi in realtà.
'Sognagione' è la piantagione – o la stagione – dei sogni.
Il dilemma è sempre lo stesso; se può, la bellezza, sopravvivere al riparo dal mondo (chiusa a riccio ed in difesa contro il reale) o se – piuttosto – non sia il caso di realizzarla, destandoci.
Tra i versi più belli ricordo, infatti, quelli di 'Fuori scena': Destiamoci | al sogno | per crescere in | v i s i b i l i t à | Coltiviamo | sulla scena | il suo seme | di luce | affinché | il canto | fiorisca | tra gli applausi | e il mondo | apra gli occhi | allo stupore.
A cosa serve infatti la bellezza se non afferma se stessa e non invade, anche a rischio di finire? A cosa serve la conoscenza se non si concretizza in un gesto, nel qui ed ora?
Il sogno che si concretizza squarcia i sipari. Dice bene Franca Alaimo, nella prefazione al libretto (edito da The Lamp/Art Edition): la poesia di Peralta è un sistema filosofico, senza mai essere macchinosa costruzione ma, anzi, ponendosi come tracimazione del cuore e dell'intelletto. C'è, nei suoi versi, la compiutezza e la pacatezza che sono propri della terra e della coltivazione del seme.
La disciplina della costruzione, che parte dal piccolo per arrivare al grande, è presente in ogni verso ed in ogni sottolineatura. Guardiamo fuori | e in noi si apre | la scena.
Partecipare alle cose del mondo non vuol dire entrare a far parte del sistema, nè significa rinunciare alla propria essenza e sperdersi. Vuol dire, anzi, alimentare la capacità che l'anima ha di donarsi.
L'agricante (altro neologismo) è il poeta soale: colui che è agricoltore (che, dunque, della terra e della sua disciplina ha fatto un foglio di via), capace però anche di essere cantore e di tentare viaggi coraggiosi al di là del sé.
Ci sono echi, nei versi di Peralta, che ricordano il concetto dell'interconnessione. Siamo unico corpo, fusione di mente, materia ed anima. Siamo tutti parte di una sola cosa. E' tuttocielo | nel giardino | soale.
Di qui i rimandi ai simboli del Cristianesimo ed alla necessità di un progetto comune di rinnovamento del mondo, come sottolinea la Alaimo. Un progetto che unisca l'Est e l'Ovest del mondo, secondo il pensiero Kantiano di una comunità universale.
Solo allora i passi del poeta – e dell'uomo – conosceranno ...lo stupore del cosmo | E le cose | anche le piccole | e dimenticate cose | sogneranno il loro angelo.

Tullia Bartolini



Attraverso questi versi di «Sognagione» dell’amico Guglielmo Peralta, ci sembra di essere immersi e di vivere a pieno una "quinta stagione" in cui la Parola – ed essa soltanto – cerca di assicurare i presupposti per una intima sopravvivenza dentro un mondo che non concede spazi ad ogni tipo di libertà e quindi ad ogni tipo di sogno. Qui ogni singola parola è pensata, forgiata, scalpellata, e centellinata come deve ben convenire a chi vuole trasmettere la vera essenza di un discorso o la bellezza di una rivelazione, una parola maestosa e leggera allo stesso tempo che sembra voler supportare ogni vicenda umana che va sempre più precipitando. Parola come genesi, parola come manifestazione del primordio. Ma strada facendo ci si accorge che la sognagione è in definitiva l’unica stagione nella quale l’uomo dovrebbe vivere, con la consapevolezza degli eccessi verbali che tappezzano i nostri giorni, e con la dolce prorompenza di un fondamentale concetto che influenzi positivamente il vasto panorama delle coscienze.

Nicola Romano


Guglielmo Peralta ci propone, forse, una immagine “antroposofica” della Poesia intesa come percorso spirituale volto al ritrovamento/straniamento di luce/oscurità colte/coltivate dall’anima poetante nella loro primigenia imprescindibilità: la visione terrestre/celeste diviene manifestazione del bello del buono, dunque, del vero: epifanìa di un canto divino. Una lettura coinvolgente luminosa. Grazie del dono.

Maria Grazia Cabras


Guglielmo Peralta proponendoci un testo già apprezzato e premiato a Firenze, ci fa dono di un’estetica solo apparentemente appartata giacchè rientra, pur mescidando elementi lessicali e tematici da "massimi sistemi",in un più comprensivo quadro di esperienze di cui fanno parte conoscenza morale, storica, culturale e tecnica adoperate nel senso di una globale traduzione delle sue convinzioni in dati di poesia. La poetica di Peralta ha nella "visionarietà" dell’artista un processo creativo dentro al quale i coefficienti sostanziali sono in continua trasmigrazione, espressi con sorprendenti neologismi in grado di concatenarsi in liriche determinanti e interdipendenti. Accade pertanto che quasi al centro della raccolta, poesie come "La visita", "La luce buona del giorno" o "Nel divino splendore" la teorizzazione filosofico-teologale, diviene una proiezione continua dal passato al presente con una sintassi lucida, convinta e appassionata: "E l’uomo / che vinto si spiega all’ascolto / libera le neurostelle / per il convivio d’amore", ovvero "Allora nel tempio irrompe / l’universo / e sulla diafana scena inizia / la cielificazione". Questa poesia risulta, a me pare, dalla somma di due dilatazioni semantiche, la prima, carica di rigore e precisazioni (tutto il mondo di studio, riflessioni e scoperte del poeta)e l’altra con la sua suggestione, il suo mistero, i suoi contrasti, scaricando sul dettato poematico una grande forza simbolica, forza che attraversa tutto il libro fino alla splendida prosa finale, con il movimento incessante e a tratti mistico della vita interiore e la musica che sottolinea lo scorrere della vita nel suo procedere verso aspirazioni superne. Poesia che vola alta, senz’altro, ma in grado di sedurci nel qui e ora come un’elegia e non per questo meno nuova e accattivante.

Eugenio Nastasi


Grazie per questo "dono" di parole, immagini, "piantagione" e "stagione" di sogni, tanto spirituali quanto terreni, di luce e d’ombra, mediante una poesia assai scandita e sonoramente "musicale", senza però eccessi (così facili in poesia). Non ho ancora letto del tutto approfonditamente (come sono usa fare, nella mia/nostra quasi cinquantennale abitudine alla lettura-su-carta), e tuttavia già mi sono resa conto che si tratta di un testo poeticamente "visionario", come dev’essere. Grazie, caro amico, dunque del così natalizio dono, mentre molto mi ha coinvolto anche la nota introduttiva dell’amica Franca (Alaimo), del tutto illuminante. Un grato augurio e saluto

 Mariella Bettarini



Poesie ricche d’immaginazione, potrebbero scriverle molti, la sinestesia è prerogativa di pochi. Alla fine siamo nello sperimentalismo, e sono ancora meno quelli che lo praticano. L’impressione è che si tratti di poesia positiva, come a dire: non siamo poi lontani dalla comprensione dei fenomeni, si tratta di affinare le percezioni e ordinare la materia. Secondo me Larecherche.it è ’ricercata’ da neopositivisti talvolta sotto mentite spoglie, ovviamente mi ci metto anch’io. Vorrei destare la stessa simpatia che destano questi versi, che lasciano un senso di fiducia. Ci sono simpatici quelli nei quali abbiamo fiducia.

 Mazzarello



In questa mia prima lettura mi sono abbandonata al fascino della musicalità, delle immagini, dei "sogni".Come per la "Divina Commedia" almeno quattro sono le letture. Questa, allora, è solo l’orma del mio passo leggero nella "Sognagione". Scriverò presto qualcosa di più degno.

 Giorgina Busca Gernetti


Caro Guglielmo, dirti che le poesie di Sognagione sono "belle" è banale e riduttivo. Il tuo cammino è stato fruttuoso, da una concettualità filosofica sei approdato ad una poesia che, pur mantenendo il nucleo primigenio, ha sviluppato una cifra musicale sostanziata da un "messaggio" umanistico e spirituale. La tua poesia ha un suo proprio codice, riconoscibile e tuo, e questo, a mio avviso, è il vero risultato che conti per chi è poeta. I miei più affettuosi complimenti e auguri.

Anna Maria Bonfiglio



Un libro difficile, impegnativo. Dovrei ri-leggerlo o, forse, per dirla con l’Autore puntare lo s-guardo ad est, per lasciare che mi abiti: la Parola ha bisogno di un corpo che la ospiti. E’ un invito che, in tutta sincerità, non so se mi sentirò di accettare. Questo libro va ben oltre la richiesta al lettore di un plauso, le poesie non sono scritte perchè le si dica "belle", destinate ad un piacere estetico ma invitano ad una conversione est-etica. Ci vuole un intero cammino prima di poter affermare: "Sì, voglio mangiare il frutto di quest’albero". Al momento non sono pronta a cingere i fianchi e a tenere pronto il vincastro. Non so dove si possa trovare l’olio da mettere nella lampada.
Insomma, da un lato mi attrae dall’altro mi respinge.

 Maria Musik


Leggendo il suo libro subito ho notato la musicalità del Cantico ebraico in una raffinata dizione che trasporta. La sua filosofia è affascinante tanto da sfiorare l’utopia del sogno che in effetti esiste ed è reale.Le immagini che lei crea sono pittoricamente visibili. E’ riuscito a trasmettere nel libro la sua immaginata "Sognagione" meta auspicata di religiosità e oltre. E’ nel cammino del Cantico dei Cantici che l’amore si snoda nel testo dandoci una dimensione dell’oltre e della Bellezza.
Grazie infinite per questa lettura che nel pandemonio attuale è stata acqua ristoratrice.

 Liliana Ugolini


Queste poesie sembrano “insegnare” una percezione: operazione difficilissima, ma resa possibile attraverso il linguaggio della poesia, in cui i termini sensibili, evidenziati con una grafica diversa, “dimostrano” la teoria retrostante, che è anche un’aspirazione etico-estetica, dunque un modo di essere e di sentire. Il risultato è affascinante: ho avuto davvero la sensazione di trovarmi davanti ad una rivelazione! Non uno spettacolo qualunque o una scena ordinaria ma “lo” spettacolo della vita nello scenario della realtà ultraterrena. Ho provato a guardare ai simboli dell’albero, del pane, del vino, delle stelle, del giardino, (simboli già di per sé molto carichi) con un’ulteriore e nuova sfumatura percettiva e cognitiva. Leggere queste poesie è senz’altro anche un’avventura della mente, oltre che un’esperienza di pulizia percettiva. Sembra che sgorghino da un animo pacificato ma non ingenuo, un animo che ha effettuato numerose sottrazioni riguardo parti in-essenziali della realtà. Con lo sguardo ripulito, la stessa realtà risulta essere meno complessa e cupa di quanto possa sembrare ad occhi offuscati. Essa si evidenzia in modo disarmante agli occhi che sanno riceverne la luce e godere dei suoi frutti. La visione “soale” del poeta, del poeta-viandante (e, credo di intuire, del poeta tout-court, secondo la filosofia di Guglielmo Peralta), è senz’altro aperta alla speranza. In “Dentro, fuori”egli dice:“Ma sempre verde è la notte dal candido calice, dove sbocciano le stelle per incanto dove fiorisce l’albero dal fertile respiro del vero”. Particolarmente rivelatrice è la poesia “Messia”: come dice Franca Alaimo nella prefazione, la figura del poeta per molti aspetti si può sovrapporre a quella del Cristo, senza timore di eresia, perché il poeta comunque appartiene al mondo, a quella parte di mondo meno visibile, o, se si vuole, più visibile sul piano spirituale. Di conseguenza il sogno è molto più concreto di quanto non si possa pensare: è un progetto di vita, una missione.Quanto ho colto è stato molto meglio illustrato dall’autore nella sua post-fazione.Mi complimento con Guglielmo e lo ringrazio per il suo contributo. Molto appropriato ai tempi!


Loredana Savelli




Tra “Poesie e Disegni”, all’insegna dell’azzurro (colore che avvolge e favorisce un’immersione da parte del lettore in una dimensione onirica, dalla copertina all’evidenziatura di quelli che sono i termini chiave nella poetica dell’autore), si snoda il percorso tracciato nella Sognagione di Guglielmo Peralta.
Il poeta rivisita la parola inondandola di luce («l’implume | parola | culla | il suo | volo»), inseguendo un «sillabario celeste», nelle cui costellazioni «nasce | la parola cometa». Vocaboli di nuovo conio sono cristallo prezioso di versi la cui peculiarità fondante trae linfa da un solido sistema filosofico, da una chiara visione del mondo e delle sue potenzialità.
Ed è proprio “L’albero della visione”, dopo la prefazione di Franca Alaimo, a introdurre alla lettura: «Dammi Signore | la mia cecità | quotidiana | affinché io possa | mangiare | dell’albero | della visione». Risulta evidente come talvolta i versi possano frantumarsi per raccogliere la singola parola, esaltarla nel suo distacco dalle altre cui tende, lasciandole un suo spazio sacro, un respiro che dia chiarore a quanto la circonda. E, in tale contesto, la punteggiatura si fa superflua, rinunciabile.
Nei giochi di luce e ombra, chiari e scuri, bianchi e neri, nelle alternanze e intermittenze del giorno e della notte, tratteggiano un disegno sotterraneo, delineano i tratti salienti della percezione.
I luoghi comuni ubicati tra cielo e terra trovano nuove impronte descrittive, rappresentazioni interpretative peculiari di Peralta. «Soaltà», suo neologismo, è «Fusione di sogno e realtà», concetto che ci guida nell’accostarci alla sua produzione in versi. Approfondendo questa concezione egli, nel mese di dicembre del 2004, ha fondato la rivista monografica “della Soaltà”, cui sono poi state dedicate importanti presentazioni (tra le altre spiccano quella ospitata dalla Fondazione Lucio Piccolo e quella organizzata nello storico locale delle “Giubbe Rosse”).
La “Sognagione” rappresenta la «Piantagione (o stagione) dei sogni», ove incontriamo «l’agricantore» e i «frutti | sonori». E dai suoni si sprigionano colori, sinestesie, fasci di luce che proiettano in varie direzioni.
Peralta propone un ruolo attivo al poeta, la cui capacità di fondere sogno e realtà non va disgiunta dalla capacità di concretizzare, oltre a reificare, i contenuti, i materiali, della trama onirica. La bellezza e l’arte non vanno scissi dalla sfera etica; possono convivere con la quotidianità.
Fëdor M. Dostoevskij, nel Discorso su Puškin, scrisse: «La bellezza salverà il mondo.». Anche Giovanni Paolo II si era più volte soffermato su questo concetto, sottolineando in particolare come la bellezza sprigionata dalle parole possa salvare il mondo. Guglielmo Peralta si pone su tale solco.
I legami tra microcosmo e macrocosmo affiorano di continuo, tra illuminazioni e rivelazioni («le sinergie | celate»). L’unità del creato trova riflesso nella completezza di anima e corpo, anche nel più piccolo essere.
I versi vengono offerti con umiltà, come pane e vino, poiché «il linguaggio | è una vendemmia | di stelle per l’ebbrezza | del mondo». E non vi è limite al numero di lingue in cui si può sognare.
Serenità promana da questi versi intrisi d’azzurro, d’interiorità. Simboli cristiani («E la parola | è il golgota | e il sogno | la sua croce», nel “Messia”, accostato al poeta in modo ardito) vengono incorporati nell’anelito a una cooperazione universale (le brevi note, sapientemente dosate, sono un segno del tentativo di ulteriore avvicinamento al lettore, non di rado sfuggente), per una possibile palingenesi.

 Claudia Manuela Turco

Nessun commento:

Posta un commento