venerdì 16 gennaio 2015



Vivere inventando un sogno
  di Danilo Mandolini


Soaltà, opera in versi di Guglielmo Peralta, narra di una terra di confine, di un luogo – delineato e descritto con sfumati riferimenti spazio/temporali – che ci appare come sospeso tra un’immagine riflessa allo specchio ed il corpo fisico della stessa. E’ proprio da ciò che s’intravede e sosta (senza peraltro essere percepito appieno – spesso affatto – dagli umani sensi) in quella dimensione in bilico tra buio e luce e tra sogno e risveglio, che i versi del poeta palermitano traggono nutrimento e di quel nutrimento, di quell’universo così etereo ed indecifrabile, raccontano.
Dunque soaltà: fusione tra sogno e realtà, coesistenza di due momenti dell’essere che nel vivere comune di oggi quasi si escludono, tracciano percorsi vicini - reciprocamente visibili - ma rigorosamente paralleli. L’operazione, l’esperimento di sciogliere la realtà nel sogno e viceversa obbliga in qualche modo l’autore a produrre versi che sono innanzitutto atmosfera surreale (“…e quest’ombra / che adesso mi conduce / è una luce infinita…”; “…aggiungere stelle alle stelle / mare al mare cielo al cielo”), spaesamento (“…sogno / che prende / il posto / del luogo”) e sorpresa da condividere con il lettore (“E se ci scoprissimo / ad un / tratto / a / parlare/ il linguaggio / del sole!?)
C’è poi, e soprattutto – perché è questa l’essenza della poesia di Peralta, il giungere contemporaneo del poetare e del filosofare: un verso che è già pensiero, una parola che è, al tempo stesso, dolce abbandono e profonda riflessione. E’ un esercizio, un contenuto ed una forma, ciò che si è appena descritto, che pervade l’intera architettura dei testi e che pone in evidenza la volontà dell’autore di tentare di cogliere l’istanza prima – diremmo l’urgenza primordiale - del dire umano (“Un altro cielo / è la terra / col suo verso di stelle / Dall’oblò della parola / segreta / il navigante la vede / e vi pianta il suo grido”) e di suggerire una via per vivere la vita che è oltre l’istinto della razionalità (“A l t r o v e / sarà nascita e luce e / questo senso dell’ombra / che esploro / per vivere inventando / un sogno al giorno / strappato alla saggezza / dello sguardo”). E’ un percorso che varca i limiti dell’osservare comune ai più – quell’osservare nel quale si riconosce un unico orizzonte; un itinerario lungo il quale soltanto la voce di dentro, soltanto una pronuncia alta e sincera può divenire chiave di volta per una nuova interpretazione del mondo (“S c o n f i n a r e / per giungere due volte alla meta / per trarre luce / dall’ombra itinerante // Sia sentiero di segni leggibili / la mappa indecifrabile / e acceda la coscienza / al familiare linguaggio orizzontale”). Arricchito dall’occhio vigile e fortemente critico sulla società di inizio millennio (“In un mondo come questo / anche il consumo di una bibita ghiacciata / è un’etichetta di rivolta…”) che si scorge – unitamente all’alternarsi di stati d’animo quali la disapprovazione per le scelte umane e l’ormai amara rassegnazione per le conseguenze che ne derivano - in ?uo vadis, la sezione finale del libro, e dalle prose esplicative del “mondo di soaltà” raccolte ne Il cavaliere della visione rotonda, l’ultimo volume di poesie di Guglielmo Peralta si avvia a conquistare uno spazio nell’attenzione e nella memoria dei più attenti fruitori di poesia. Avremmo piacere che questo viaggio cominci proprio con alcuni versi tratti da Soaltà; versi che sono di buon auspicio per nuovi ed intensi esiti della poesia peraltiana: “Per quali ignoti sentieri / verrà la mia pittura di versi / a celebrare il sogno sulla tela”.

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