lunedì 19 gennaio 2015

La "sognagione" nel progetto poetico-filosofico della soaltà
di Franca Alaimo

La poesia di Guglielmo Peralta pone non pochi problemi interpretativi, costituendo la diretta espressione di un "sistema filosofico" elaborato dall’autore, le cui linee essenziali sono esposte nel numero "0" della rivista da lui stesso curata "della Soaltà", termine quest’ultimo che ha già dato il suo titolo ad una raccolta di testi poetici, pubblicati nel 2001 dalla casa editrice palermitana "Federico".
In tempi in cui i poeti scrivono spesso al di fuori di ogni elaborazione consapevole di poetica, il fatto che i versi di Peralta siano inscindibili da essa, significa trovarsi di fronte ad un autore che "sa" cosa dire perché ha elaborato una visione coerente del mondo, alla quale ha anche prestato una terminologia originale, che sarebbe inutile e fuorviante volere spiegare sulla base dell’etimologia ufficiale, poiché, invece, poggia su una rete di relazioni analogiche, di sovrapposizioni concettuali, di accorpamenti di parole e, perfino, su una sorta di procedimento sillogistico operato sui significanti, da cui germinano nuovi e sorprendenti significati.
In questa silloge, titolata Sognagione che è appunto uno dei neologismi coniati da Peralta, che lo spiega come "piantagione ( o stagione) dei sogni", l’autore ha voluto tipograficamente evidenziare, all’interno d’ogni testo, con il colore blue, quei termini tratti proprio dal suo "manifesto poetico", probabilmente allo scopo di indicare al lettore le giuste chiavi di lettura, rimandandolo alla sua enunciazione teorica.
È una scelta che dà forza a quanto si è detto finora: è come se l’autore si sia dato il compito di costruire intorno ai nuclei portanti della sua "soaltanschauung, così come la chiama, la sua scrittura poetica, così che, come già ha scritto Giuseppe Cottone, "la prima si scioglie nella seconda".
Quanto detto potrebbe far pensare ad una macchinosa costruzione, se la soaltanschauung di Peralta non coincidesse con un’accensione spirituale ed una vibratilità percettiva che volta per volta investono l’atto creativo. È da questa tracimazione del cuore e dell’intelletto che si dipartono i neologismi, i quali trasformano la realtà in sogno ed il sogno nella realtà interiore, quest’ultima incorruttibile avendo come stoffa non la labilità dei sogni shakespeariani, non la incoerenza e la frammentarietà dei sogni notturni, ma i valori più alti dello Spirito umano.
Altrimenti non si spiegherebbe la qualità mistica di un lessico poetico che attinge ampiamente a quello evangelico, costruendo un ardito parallelismo tra la funzione messianica del Cristo e quella del Poeta, che raccolgono entrambi "la tragedia del mondo" per purificarla con un atto d’amore, che passa attraverso il sacrificio della croce.
Molti simboli del Cristianesimo, molte immagini, tratte dalle parabole del Vangelo, descrivono il gesto poetante e la sua offerta di bene e di bellezza come quella del vignaiolo, che, dopo avere curato la sua vigna, raccoglie una gran quantità di grappoli perfetti, o del seminatore che ammassa nel granaio messi abbondanti, alludenti entrambi alla produzione dei versi, che vengono offerti ai lettori come pane e vino, ricalcando l’episodio evangelico dell’istituzione del sacramento dell’eucarestia.
C’è anche in questo offrirsi del poeta "in pasto" ai suoi lettori un’allusione al mito di Orfeo, cantore sublime ed eterno del suo amore per Euridice, che viene fatto a pezzi dalle Menadi e gettato nell’acqua del fiume, per poi trasformarsi nella costellazione della Lyra.
Dunque Peralta sacralizza il poeta e la poesia, investendoli entrambi di quel compito rivoluzionario proprio delle cose sacre, nel momento in cui si innestano nel mondo, mutando la vista in visione, il buio in luce, l’interiorità in visibilità, il sogno in cose, le cose in sogno, fino a che, come scrive lo stesso autore, " lo s-guardo e il sogno incontrandosi ‘dietro le quinte’, si toccano sulla scena e dileguano nell’unità della visione.."
Un altro simbolo, più che biblico, archetipale è quello dell’albero che produce frutti, definiti da Peralta "sonori", in quanto, ovviamente, hanno la funzione di indicare i versi secondo l’uso di una metafora, che bene si inserisce all’interno di una costruzione allegorica: il poeta è l’agricantore che coltiva il campo della sua interiorità, nutrendo sogni che come alberi producono frutti , cioè versi, in grande quantità, così da potere essere donati a quanti l’ascoltano imparando da lui a coltivare i propri sogni e a trasformare il mondo in un Paradiso.
In questa idea di poesia si innesta l’atteggiamento polemico di Peralta, non troppo rilevato, seppure ben manifesto e ripetuto, verso quanti la seminano al di fuori del campo dello spirito: "in verità non c’è posto / per la fioritura / dove l’albero è secco / e mette radici di pianto" (in La luce buona del giorno), persuasi dai nuovi "eroi virtuali / della fucina di carne e d’acciaio / ove si consuma / nel sacrilego rito della tecnica / l’oro della Bellezza", (in Nel divino splendore).
L’invito che l’autore rivolge agli altri poeti d’Oriente e d’Occidente affinché si rigenerino, realizzando la svolta con l’aprire "il cammino / sulle orme del sogno" non solo dà la misura dell’intensità con cui egli sente la necessità di una palingenesi universale, ma soprattutto ribadisce la volontà di costruire un progetto comune di rinnovamento del mondo, affidato soprattutto ai poeti, che ricorda in qualche modo l’utopia platonica, e anche il convincimento di Dostoevskij che sarà la Bellezza a salvare il mondo.
In fondo è il ritorno, ma rivisitato alla luce dell’etica cristiana, della perfetta corrispondenza di buono e bello di memoria greca, come valori portanti del fare poetico e dell’arte in genere. Così etica ed estetica coincidono e a maggior ragione per un poeta come Peralta che, trasformando anche le parole in alberi di sogni, che nutrono frutti sonori, può scrivere: "L’est è la radice dell’est-etica. Nella sua luce cresce e s’innesta la nuova pianta dell’etica", laddove per est egli intende sia il punto cardinale che vede il sorgere della luce, sia la voce latina dal verbo esse, cioè "la voce dell’essere" ed il "grande Oriente del mondo", (in n° 0 della rivista della Soaltà).
Letto il libro nei suoi nuclei tematici, bisognerà scoprire se esso regga bene il giudizio estetico, se il pensiero che lo nutre abbia trovato una piena espressione poetica, che è poi ciò che lo collocherebbe all’interno della storia della letteratura.
Certamente l’originalità concettuale di questa poesia, le assicura già un posto privilegiato nello scenario letterario contemporaneo, ma questo pregio non sembra affatto rimanere l’unico. Anche a chi non dovesse essere un conoscitore della sua "soaltà" il libro è in grado di donare altre gioie ed incanti, legati alla raffinatezza del lessico, alla gradevolezza dei suoni, alla costruzione efficace dei periodi e alla sua compattezza espositiva che ne fa un sorta di poemetto, caratterizzato dal ripetersi di molti echi interni e, come si è già osservato, dall’abbondanza dei neologismi, tutti velocemente spiegati nelle note a piè pagina.
Sognagione resta, comunque, un libro mistico ed iniziatico, che può leggersi secondo vari livelli interpretativi, un po’ come la Divina Commedia, a cui si accenna nell’ultimo testo, e per spiegare lo spirito di ascesi spirituale che lo caratterizza, e per fare passare l’idea di un’iniziazione degli spiriti grandi e buoni per la costruzione di un mondo diverso che sempre più s’avvicini al regno del Paradiso, sazio di quella luce che mai non muore e che più volte circola tra i versi di questa silloge, (così come nell’ultima cantica del poema dantesco). Il simbolismo della luce, termine tra i più ricorrenti nei versi di Peralta, si allaccia in modo evidente alla mistica cristiana, dal suo inizio fino ai prolungamenti più tardi, e forse, più vagamente, anche a quella orientale.
Ritengo, tuttavia, più probabile che tale simbolismo, più che per derivazione diretta (Eckhart, Böhme ) provenga a Peralta attraverso il filtro della poesia stessa, da Dante a San Giovanni della Croce, da Hölderlin a Novalis.
In modo particolare l’idea della notte come prefigurazione della morte, passaggio obbligato dell’anima verso l’unione mistica con la luce celeste, (così che la luce del giorno si rivela vanità ed inganno ed il buio della notte-morte si converte in luce e visione), ricorda, infatti, i versi della "Notte oscura" del mistico spagnolo, come anche "Gli inni alla notte" di Novalis, che in essi volge il suo sguardo verso "la santa, l’inesprimibile, la misteriosa notte".
Ma è soprattutto il progetto poetico-filosofico di Peralta a rimandare a Novalis ed al suo "idealismo magico", secondo il quale il poeta tedesco affida alla poesia il compito di spiritualizzare la materia, in modo da "trasformare i pensieri in cose e le cose in pensieri", di operare la fusione fra sogno e realtà, battezzata da Peralta come "soaltà". In questo modo la poesia diventa "l’autenticamente, l’assolutamente reale", il viaggio iniziatico che conduce il poeta verso il cuore dell’essere, così da trasformarlo in una sorta di divino veggente, capace di rinnovare il mondo e restituire all’umanità la sua "infanzia", il suo "tempo sacro", quelli annunciati da Cristo.
Benché si tratti di un ritorno all’idealismo magico di età romantica, il progetto di Peralta appare ugualmente rivoluzionario, sia dal punto di vista etico-spirituale, in quanto innestato nella temperie di decadenza spirituale e di corrosione delle cose divine del nostro tempo; sia dal punto di vista letterario, in quanto del tutto solitario all’interno della produzione poetica contemporanea; e, inoltre, rende testimonianza all’integrità morale e spirituale di questo poeta che sa coltivare ancora il sogno e dialogare con la sua anima.

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