a villa Piccolo - Capo d'Orlando
Mercoledì 17 ottobre 2007 a Firenze al Caffè storico letterario "Le Giubbe
Rosse" Guglielmo Peralta ha presentato la nuova rivista "della Soaltà"
della SOALTÀ
Introduzione
Desidero, innanzitutto, rivolgere ai presenti un
saluto cordiale, sincero, veramente sentito, che non è il solito, sterile e
ossequioso saluto di prammatica. Con lo stesso sentimento, ringrazio il poeta Franco Manescalchi per l’ospitalità che ha voluto
concedermi nell’ambito dell’interessante manifestazione "Pianeta
Poesia" che egli cura e organizza qui a Firenze da molti anni e ringrazio le
poetesse e scrittrici Liliana Ugolini e Daniela Monreale per avere fatto da tramite, per
avere caldeggiato questo incontro. Le ringrazio, soprattutto, per l’attenzione
che hanno sempre riservato a me e alla rivista, della quale sono preziose
collaboratrici. Ringrazio anche, per la loro collaborazione, la pittrice Giovanna Ugolini e Simona
Tocci, autrice di un interessante saggio sui miti ugaritici pubblicato
nell’ultimo numero. Questa rivista ha delle caratteristiche che la distinguono
dalle altre riviste. Di solito, una rivista si presenta da sé; basta sfogliarla
per rendersi conto dei contenuti, delle sue linee fondamentali. Ma non è così
per questa, perché, al di là dei contenuti, al di là, cioè, dei saggi
che essa contiene, apre una nuova vista sul mondo, e questa visione è rappresentata
nella sua copertina. Ma sorvoliamo per il momento su questo aspetto
fondamentale sul quale ritorneremo più avanti e che approfondiremo, per dare
una breve descrizione della rivista, relativamente alla sua struttura formale.
Essa è una rivista semestrale, monografica e consta di cinque sezioni: autori, personaggi, temi, testi, visioni,
che vengono trattate progressivamente, una sezione per ogni numero e
nell’ambito della sezione si presenta ogni volta un determinato argomento. (Per
la sezione autori,
abbiamo scelto Beckett e Buzzati; per la sez. personaggi, abbiamo trattato la figura del
poeta; per la sez. temi,
la realtà virtuale; per la sez. testi, abbiamo messo a confronto e analizzato testi poetici di
autori diversi; infine per la sez.visioni, i miti. C’è anche un numero «0» dove presento, in
sintesi, la soaltà e il suo manifesto sulla poesia e sul teatro.) Questa
rivista è anche un’occasione per parlare della soaltà, per esporre questa mia
visione del mondo che io chiamo soaltanschauung, distinguendola dalle weltanschauungen, che
sono delle visioni del mondo parziali, epocali che denominano e caratterizzano
una determinata epoca, un periodo storico, filosofico, artistico, letterario
(come ad es. il classicismo, il rinascimento, l’illuminismo, il romanticismo,
l’idealismo, il positivismo…). La soaltanschauung è una visione più ampia, trasversale a tutte
le epoche perché è, soprattutto, una visione più originaria, nel senso che
indaga l’origine delle cose, il modo in cui esse vengono alla luce e il luogo
della loro formazione. La soaltanschauung è,
ancora, una visione sistemica, olistica,
in cui trovano posto e si compendiano, fino a identificarsi nella soaltà, le
due grandi realtà: quella interiore del sogno e quella esterna: la realtà
propriamente detta. Dopo questa premessa ci caleremo adesso in questa visione
soale, della quale ho tracciato una sintesi scritta che è un percorso
abbastanza organico che tocca gli aspetti fondamentali della soaltà. Mi
atterrò, pertanto, a questa sintesi per contenere nel limite fissato nella
pagina una materia che si presta agli sconfinamenti. Cosa che dobbiamo evitare
per non andare oltre il tempo che abbiamo a disposizione.
Soaltà: una parola epifanica,
eponima e trina
Questa rivista, come tutte le cose create dall’uomo, nasce dal sogno, in particolare, dal sogno di una parola. Una parola che circa 25 anni fa venne a visitarmi e che da allora non mi ha più abbandonato divenendo nel tempo una sorgente inesauribile di idee, di illuminazioni, di sogni. Mai avrei immaginato che una parola, una sola parola potesse spalancare un mondo, un universo! Eppure, ciò è accaduto con questa parola: soaltà. All’inizio, essa è stata per me come una nebulosa, come una grande nube luminosa e, al tempo stesso, oscura, o ancora come la materia primordiale e il suo big bang da cui si è generato il mondo! Nulla sapevo di essa, tranne che era nata da una mia semplice operazione e cioè dall’aver messo insieme sogno e realtà creando così questo neologismo che è una sintesi perfetta dei due termini linguistici, e, come vedremo in seguito, di due realtà.Soaltà è stata ed è per me una parola epifanica che, nel tempo, si è chiarita, si è manifestata svelandomi un universo, la vera natura del mondo e delle cose. Ed è una parola eponima perché dà il nome, un nome unico, definitivo a quella regione che, in maniera vaga e con espressioni diverse chiamiamo: realtà o mondo interiore, o anche spazio interiore, creativo etc.…Soaltà colma così una lacuna linguistica e si pone come l’altro polo della realtà, ma non in opposizione a questa. Soaltà e realtà, infatti, si corrispondono, si com-prendono, sono intercambiabili perché la realtà com-prende il sogno come sua parte costitutiva e, dunque, l’una è anche l’altra. Soaltà è, ancora, una parola trina perché oltre a unire in sé il sogno e la realtà è anche il mondo che si compone di queste due nature.
Che cosa è il sogno. L'occhio,
lo s-guardo, il teatro
Per comprendere che tra sogno e realtà non c’è opposizione, ma anzi identità, bisogna avere chiaro il concetto di sogno relativamente a questa visione soale, dove il sogno non è il fenomeno riferibile alla dimensione onirica (fase REM), né quello che facciamo ad occhi aperti quando accarezziamo l’idea di realizzare qualche desiderio. Ma è, per usare un termine greco, ripreso dalla filosofia, il nous, il pensiero noetico (di cui parla Aristotele), cioè l’intuizione, l’immaginazione creatrice, ma è anche le immagini, le visioni, le idee, i pensieri generati dallo s-guardo rivolto «dentro», nello spazio dell’interiorità, o della soaltà. Se come afferma Gregory Bateson, i sensi servono a tenere fuori il mondo, lo s-guardo soale riconduce «dentro» il mondo che esso genera a partire dal sogno. Perché, come ho già detto, tutto nasce dal sogno, da questo s-guardo che, nella copertina della rivista, è rappresentato dall’occhio che apre dentro di noi una seconda vista. L’occhio, di per sé, può essere considerato come un teatro, un palcoscenico con un sipario - la palpebra – che si solleva ad accogliere la rappresentazione del mondo esterno. Dietro le quinte dell’occhio si apre lo s-guardo, l’altra scena, l’altro teatro, dove si rappresenta lo spettacolo del mondo interiore e cioè il sogno di cui lo s-guardo è insieme spettatore e attore (in una sola parola, spettattore), perché vede, osserva, contempla ciò che esso stesso genera, o suscita.
La realtà è un processo
d'incarnazione. La duplice natura delle cose
Sì. Tutto nasce dal sogno. Tutta la realtà – intendo per realtà la natura seconda o artificiale, il mondo delle cose - si edifica a partire dal sogno, nel teatro interiore. Tutta la realtà è un processo d’incarnazione. Ogni cosa, prima di essere tale, è immagine, visione, pensiero, idea, sogno. Questo sogno acquista una veste, un corpo, s’incarna divenendo realtà visibile che, in quanto unisce in sé il sogno, è soaltà, questa volta esterna. Ogni cosa, dunque, ha una duplice natura, essendo costituita dalla natura fisica (cioè dai materiali ricavati dalla natura: legno, pietra, ferro etc.) e dalla natura umana (pensiero, idea, spirito, o in una parola, sogno).
L’oblio del sogno. Essere ciechi per
vedere
Delle due nature di cui è composto il mondo delle
cose, noi vediamo solo quella fisica, quella che chiamiamo realtà e non
cogliamo il sogno che è l’anima delle cose e in quanto anima, è invisibile ai
nostri occhi, troppo superficiali per vedere in profondità, per andare oltre
l’apparenza. Questa vista così corta ha determinato l’oblio del sogno, nel
senso che non ci ricordiamo più del processo creativo che ha generato e che
genera le cose. Ciò che sappiamo è che le cose sono fabbricate dall’uomo, e che
sono ciò che vediamo, il loro corpo visibile. E dimentichiamo il sogno che è la
loro origine. Tutto è una realtà soale. E aggiungo, senza soffermarmi, che il
mondo, l’universo, l’uomo, tutta la creazione è una SOALTA’: il sogno e la
realtà di Dio. Abbiamo obliato il sogno. Abbiamo il dovere di riscoprirlo.
Dobbiamo imparare a vedere, a sognare. Io dico che bisogna essere ciechi
affinché si possa vedere. Essere ciechi significa lasciare agire lo s-guardo,
mettere il mondo (intendo qui, il mondo delle cose) in parentesi per
ripensarlo, per ripercorrere il processo creativo che lo ha generato, che lo
genera; significa cogliere nella realtà visibile l’invisibile, che non richiede
la vista degli occhi. Essere ciechi significa, ancora, destarsi alla realtà del
sogno, sollevare il sipario del teatro interiore ed essere spettatori dello
spettacolo della creazione umana, che ripete, che è un riflesso della creazione
divina.
Il gesto etico. La prima visione
Abbiamo il dovere di
cogliere la realtà nello splendore del sogno. E’ un dovere morale che lo sguardo rivolto è in
grado di osservare. Osservare
questo dovere comporta la svolta, il rivolgimento dello s-guardo che è un gesto etico ed estetico al tempo stesso
(o meglio, est-etico). Perché
ci orienta nel mondo a
partire dal mondo interiore dove si accende la luce dell’est. L’est è l’oriente, il punto focale, di osservazione, ed è la luce dell’essere che apre dentro di noi la nuova
e buona vista facendoci
riscoprire la Bellezza che è nelle cose e nella natura. La bontà della visione ha i "gradi" della Bellezza che il nostro occhio, educato
dallo s-guardo, deve imparare a cogliere e a contemplare, per ritrovare l’antico
stupore, lo stupore che provammo quando vedemmo per la prima volta il mare, il
cielo, le stelle, l’alba, il tramonto, un fiore, un volto; quando vedemmo il
mondo per la prima volta. Sì. Dobbiamo. Abbiamo il dovere di ritrovare questa
prima visione, questo nostro sguardo che è anche lo sguardo atavico, primitivo,
lo sguardo dei primi uomini e che ora è uno sguardo fossile, rimasto impresso e
sepolto nell’anima e nella memoria del mondo. Essere ciechi significa approdare
alla visione soale, che è una visione rotonda,
cioè piena, integrale che coniuga visione del mondo e mondo della visione.
L’occhio in copertina vuole rappresentare questa rotondità del sogno che è e si fa realtà
e della realtà che è il sogno stesso. E questo è il messaggio che
qui, in questa sintesi visiva, è rappresentato. I paeSaggi, sono le immagini, le visioni,
tradotte in saggi; sono la
scrittura del sogno generato dallo s-guardo. Perché il sogno è anche idea che
si fa parola, scrittura, letteratura, arte, teatro, poesia, canto.
La luce dell'est. L'illuminismo est-etico
Di questo canto deve nutrirsi
la ragione. Solo una ragione, rinvigorita dalla luce del canto, della poesia,
della Bellezza, può essere guida all’uomo, può metterlo in cammino verso un
mondo migliore liberandolo dal "pensiero
debole", così debole da non essere più in grado, non solo di
darci certezze, ma di farsi custode della realtà che arretra e rischia di
dissiparsi nel virtuale. La rivoluzione ottica che volge lo s-guardo verso l’«est»
è l’esterienza: la nuova
coscienza, la presa della
visione soale da parte della ragione che la fa propria, e così impara a riflettere nella luce dell’essere che
ne orienta l’azione. L’«est» è la radice di luce sulla quale s’innesta l’etica
con la quale costituisce la nuova est-etica o
ciò che io chiamo illuminismo est-etico,
che è una conoscenza, una visione, un’ottica,
una po-etica che esprime
il canto della ragione, una
ragione illuminata dalla luce della Bellezza, della quale assume il punto di
vista ritrovando così il senso poetico del mondo. In questa ottica, l’occhio
educato e reso esperto dallo s-guardo razionale sarà in grado di
prelevare il sogno dalla realtà, di riconoscere nel sogno la struttura e
l’origine del mondo. Bisogna, dunque, mettersi in cammino sulla via dell’ «est»,
affinché l’occhio, acquistando il grado
puro della visione, si faccia s-guardo e assista così allo
spettacolo del sogno fuori scena. L’occhio che riceve il battesimo della luce
dell’«est» solleva il sipario nel mondo e dà luogo alla rappresentazione soale.
Così si compie la svolta. Così l’illuminismo est-etico
si fa pratica teatrale e rappresentazione pratica,
si fa, soprattutto, prassi razionale, ragione pratica e po-etica che
custodisce la Bellezza e agisce secondo
il suo punto di vista. Questa vista
razionale è il gesto etico che
dobbiamo imparare. Se vogliamo che la ragione torni a riflettere, dobbiamo imparare a gestire la luce dell’«est», che è la luce
del sogno, dove Bellezza e Bontà s’incontrano e si cor-rispondono.
La Lux e La Lex. La ri-volizione. Kant
Nel fiat lux,
di biblica memoria, la Bontà del
Creato è la lux ed è
la lex che ordina e governa
il mondo. E la Bontà è la Bellezza,
al tempo stesso. Così il Verbo del
Pantocratore è un gesto est-etico. Dio
ha cura che ogni cosa creata sia Buona, Bella, e se ne assicura.
Egli, infatti, si sofferma su ogni cosa, ne prende "visione", dopo l’atto creativo,
confermandone, giudicandone la Bontà,
e quindi la Bellezza, che è
il suo valore equivalente. Noi abbiamo smarrito la Luce.
Abbiamo smarrito la Legge.
La Bontà, che è anche la Bellezza del Creato, non è più il dono,
il valore in senso assoluto da contemplare, da custodire, da rispettare, ma è una qualità, un attributo
della natura - così delle cose - del quale ci capita, qualche volta, di
accorgerci quando non siamo distratti dai beni effimeri e materiali che
dominano e governano i nostri sensi. Dobbiamo ritrovare la Luce, rientrare nella Legge che può ridare senso alla ragione e
liberare i nostri sensi. Nel fiat lux il
mondo si manifesta, viene alla luce, è luce esso
stesso. Il fiat lux, perciò, è
l’ordine, la volontà, il gesto che crea il mondo, che fa che
la luce sia il mondo. Allo
stesso modo, lo s-guardo che si volge all’est - che è insieme luce ed essere –
è il gesto che genera il
sogno e fa che il sogno sia luce, cioè realtà, mondo. Perciò lo
s-guardo è una ri-volizione,
cioè un volere che rivoluziona il
nostro modo di guardare, che ci sollecita a discernere il bello, ovvero, il buono che si cela in profondità, oltre
l’apparenza. La Legge è
la Luce che si accende
dentro di noi.
Kant sembra avere ragione quando afferma: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". Ma egli separa la luce dalla legge ponendo tra l’una e l’altra la distanza del cielo e la profondità dell’Io. Più giusta è la sentenza: Il cielo stellato dentro di me, la legge morale sopra di me. Perché se "m’illumino d’immenso", se la mia anima accoglie la luce dell’infinito, allora la legge morale sta su di me, si impone su di me, mi "domina"con la sua luce che mi abita, che ha in me la sua domus, la sua casa. Questa luce è la legge che se-duce la ragione e l’orienta col senso della Bellezza, della Bontà. La ragione che si nutre di questa luce rinvigorisce e ritrova la dimensione est-etica favorendo così l’elevazione spirituale. (Bufalino dice: "Imparai a non rubare ascoltando Mozart". Ecco. La bellezza della musica produce qualcosa di buono, impedisce cioè di rubare. Ecco, dunque, che Bellezza e Bontà si cor-rispondono)
Kant sembra avere ragione quando afferma: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". Ma egli separa la luce dalla legge ponendo tra l’una e l’altra la distanza del cielo e la profondità dell’Io. Più giusta è la sentenza: Il cielo stellato dentro di me, la legge morale sopra di me. Perché se "m’illumino d’immenso", se la mia anima accoglie la luce dell’infinito, allora la legge morale sta su di me, si impone su di me, mi "domina"con la sua luce che mi abita, che ha in me la sua domus, la sua casa. Questa luce è la legge che se-duce la ragione e l’orienta col senso della Bellezza, della Bontà. La ragione che si nutre di questa luce rinvigorisce e ritrova la dimensione est-etica favorendo così l’elevazione spirituale. (Bufalino dice: "Imparai a non rubare ascoltando Mozart". Ecco. La bellezza della musica produce qualcosa di buono, impedisce cioè di rubare. Ecco, dunque, che Bellezza e Bontà si cor-rispondono)
Negatività del sogno
Finora abbiamo parlato del sogno come qualcosa di
positivo, associando ad esso la luce della Bellezza e della Bontà considerate
come sue proprietà, come sue qualità inscindibili. Tuttavia, c’è un’altra
faccia del sogno che è la sua negatività.Non tutto ciò che produce l’atto
creativo risponde ai canoni della bontà e della bellezza,
considerate nella loro inscindibilità. Buono e bello è tutto ciò che serve la vita. Bello ma non buono, ciò che serve la morte. Inoltre, ciò che è buono, oltre ad essere bello, è anche necessario, utile, dilettevole,
spiritualmente piacevole e degno di contemplazione. Ciò che non è buono, invece, mantiene, in grado
minore, il valore della bellezza o
lo perde del tutto. La Bontà e la Bellezza,
in quanto sono la Luce e
la Legge della Creazione,
sono anche proprietà inseparabili dei sogni che generano ciò che serve la
vita dell’uomo e ne soddisfa i bisogni materiali e spirituali correlati con
quei buoni valori. Ma esistono anche i sogni negativi che generano ciò
che serve la morte e
soddisfa gli istinti ferini e irrazionali dell’uomo censurati dalle regole
sociali e morali e perciò camuffati dalla civiltà e istituzionalizzati, ma che
restano legati al controvalore del Potere che allunga ovunque e comunque i suoi
tentacoli ponendosi spesso fuori dalla morale e dal diritto e, dunque, fuori
dalla facoltà o liceità di agire che gli dovrebbe essere connaturale.
(Chiarisco questo concetto. Chi, detenendo il potere, si pone fuori dalla
morale e dal diritto, perde la facoltà o liceità di agire. Io dico, allora, che
il vero Potere è l’assenza di ogni potere, cioè è quello
che dà facoltà di dire: IO POSSO,
nel senso proprio della libertà di agire che
solo la morale e il diritto - e cioè la Lux e
la Lex – possono concedere,
consentire.) Questi sogni scindono la bontà dalla bellezza, sono espropriati dell’una, alla
quale si sostituisce la cattiveria, e conservano (o perdono) l’altra. Tali
sono, ad esempio, i sogni del pugnale, della spada, della pistola, del cannone,
del bombardiere, della bomba atomica: cioè le idee generatrici di questi
strumenti di offesa, di violenza, di distruzione, di annientamento totale, tra
l’altro, resi nel tempo più "belli" nella forma e migliorati nella
loro potenza. In sostanza, gli oggetti, le cose negative, in quanto sono pure
frutto del sogno creativo, restano belle, ma spogliate della bontà sono imperfette rispetto alle cose
positive, le quali, mantenendo il legame tra bontà e bellezza raggiungono gradi diversi di
perfezione. (Per quanto riguarda la "bellezza" delle cose negative,
pensiamo all’aspetto terrifico del sublime, pensiamo, ad es., a un terremoto
catastrofico o all’eruzione di un vulcano, al suo fascino, alla sua grandiosa potenza distruttrice,
paragonabile a quella di una bomba atomica. Ecco come una cosa può essere
"bella" e servire, assecondare la morte. Ma si tratta di
una bellezza relativa. Perché solo ciò che è eticamente buono è anche bello.) Le cose positive nascono dal bi-sogno, cioè dal sogno come esigenza da soddisfare. Esse hanno
la bontà dell’uso, grazie al quale servono, silenziose e fedeli, l’uomo
alleggerendolo dalle fatiche, alleviando e curando le sue malattie e le sue
ferite, tenendolo lontano dalla noia, arricchendolo e nutrendolo con le varie
forme dell’arte e della letteratura, specie quando ne assumono la veste di
capolavori divenendo così la manifestazione più evidente del sogno, o dello
spirito. L’uso benefico rende
nobili le cose. Attraverso le loro specifiche funzioni, l’uso offre all’uomo il riposo, il
sostegno, l’aiuto, la cura, lo svago, il piacere dello spirito(o estasi), di
cui, rispettivamente, sono un esempio d’incarnazione: il letto, la sedia,
l’utensile da lavoro, il farmaco, le carte da gioco, lo spartito musicale. L’uso improprio delle cose positive le
declassa fino ad espropriarle della bontà nel caso in cui esse diventino malefiche. È
ciò che accade quando, deviando dall’uso per
cui sono state generate, queste cose diventano strumenti di offesa e di morte
(ad esempio, una sedia usata come corpo contundente), scadendo perciò al
livello delle cose negative. Chi sceglie i sogni positivi serve la vita, la ama, la rispetta, la
migliora, l’arricchisce senza esserne schiavo. Al contrario, ne è padrone, ne
prende possesso, ne diventa proprietario sviluppando il senso della reciproca
appartenenza: sente che entrambi, lui e la vita, si appartengono. Chi invece
sceglie i sogni negativi serve la
morte, ne è schiavo e completamente asservito. Servire la
vita è godere dello spettacolo della Creazione, è coglierne la Bontà nella
luce della Bellezza ed
esserne custodi e attori, cioè interpreti fedeli del sogno nel
teatro del mondo.
La soaltà è una visione realistica
La soaltà non è una visione metafisica né astratta,
ma doppiamente realistica. Solo
chi resta ancorato al significato tradizionale e immediato del sogno,
considerandolo irreale e, quindi, opposto alla realtà, non riesce a cogliere il
realismo di una visione che fa del sogno una duplice
realtà: quella interiore e quella esteriore. Il sogno, dunque, ha
nella realtà il suo "doppio", il suo "alter
ego", che non è il "non io" degli idealisti che è una
negazione dell’ io, ma è il sogno stesso che rimane fondamentalmente invariato,
identico a sé stesso nelle sue infinite e molteplici trasformazioni estetiche,
con le quali assume le forme, sempre diverse, di un medesimo oggetto. Faccio un
esempio: Una penna è sempre riconoscibile, da quando essa nacque piuma
d’uccello, o penna d’oca, fino alla sua forma attuale. Perché essa, come tutte
le cose, è un sogno, un’idea che si trasforma, che si fa più bella e più
pratica all’uso, ma che rimane fondamentalmente identica a sé stessa, sempre
riconoscibile perché, nonostante le sue metamorfosi, mantiene
quell’inconfondibile "fisionomia", quell’ "imprinting" che
è la sua idea, il suo sogno iniziale. E il sogno è il gusto della perfezione,
la ricerca della Bellezza che nel tempo si manifesta ed evolve nelle forme
degli oggetti, che il sogno, nel suo progresso "tecnologico", rende
più pratici, più belli e attraenti. Questa visione non è una nuova forma di
conoscenza del mondo, ma una "presa" del mondo, una com-prensione, un
prendere il mondo per il suo verso giusto;
è guardarlo da un’ottica non diversa, ma inversa,
a partire cioè non dagli occhi che, come gli altri sensi, lo tengono fuori, ma
dallo s-guardo che lo riconduce «dentro», nel luogo della sua origine. Parlo,
ovviamente, del mondo delle cose, o di ciò che semplicemente, superficialmente,
chiamiamo realtà. Questa visione può essere giudicata astratta solo da chi si
lasci distrarre dagli occhi. Si rivela, invece, in tutta la sua concretezza e
familiarità a chi vi si accosti con pazienza e umiltà e si lasci conquistare
dallo s-guardo. La soaltà è in noi ed è il mondo, nel quale convergono e si
fondono le due realtà: quella umana del sogno che genera la natura seconda o
artificiale, e quella divina della natura, da cui l’uomo trae la materia prima
con la quale dà una veste, un corpo al sogno, in un continuo processo
d’incarnazione.
La trasfigurazione del sogno e la
resurrezione degli oggetti
Essere realisti è riconoscere nel sogno l’origine
della realtà, di tutte le cose create dall’uomo, delle quali il sogno è anche
l’elemento comune e il principio unificatore. Essere realisti significa
riconoscere il sogno nella sua trasfigurazione, nel suo andare oltre la propria figura, oltre la
propria immagine per farsi altro da sé restando identico a sé stesso. La
trasfigurazione del sogno è la sua incarnazione,
il suo farsi realtà visibile restando invisibile. Riscoprire il sogno,
coglierlo nella sua trasfigurazione significa toccarne il costato nel corpo
della realtà, significa essere artefici della sua "resurrezione", della "resurrezione" delle cose, cioè spettatori
e attori del processo creativo che ridà vita alle cose e ne svela l’anima,
l’essenza spirituale.
Le parole epifaniche: I neologismi e
"i giochi linguistici"
Lo s-guardo soale crea, s’inventa una nomenclatura per
denominare e definire i "luoghi" della soaltà: una terra sconfinata che ha i
suoi "limiti" nel mondo e che è soggetta a continua esplorazione. E i
"luoghi" sono i pensieri,
le idee, le illuminazioni, i sogni che non hanno spesso una corrispondenza, un
riscontro linguistico e semantico immediato e adeguato nei lemmi del nostro
dizionario. Da qui l’esigenza dei neologismi, i quali non sono una mia
invenzione gratuita e precostituita, perché nascono in simultaneità con le
idee, o sogni, che li generano e che trovano in essi il modo naturale e
spontaneo di rappresentarsi. Il neologismo è nuova parola in cui dimora l’idea. In
esso, infatti, è il logos che
è insieme parola e idea. Quando s’innesta un processo
creativo, le parole di cui disponiamo, spesso non bastano, perché accade spesso
di trovarsi in presenza di qualcosa d’ineffabile,
che il linguaggio che ci è stato consegnato nel vocabolario non è in grado di
esprimere. I neologismi sopperiscono a questa mancanza, a questa insufficienza
lessicale (non linguistica. Perché la lingua è un organismo che si rinnova e si
evolve, grazie anche ai neologismi).Il neologismo pertanto, anche se come nel
caso di soaltà, è una contrazione di due termini, non è mai una sottrazione di parole.
Soaltà è una sintesi multipla che
ha generato un universo, il quale ha richiesto e richiede molte parole per
essere espresso, esplicitato. Inoltre, i neologismi si rivelano spesso
parole epifaniche, perché oltre
a denominare i nuovi "luoghi", sono la chiave d’accesso alle idee, ai
sogni che essi finiscono per custodire e dei quali manifestano i significati
nascosti. Oltre ai neologismi, la soaltà accoglie delle parole in una nuova
veste grafica, nel senso che si presentano separate da un trattino o
agglutinate. Nel primo caso, il trattino evidenzia che una parola è la somma di
due o più parole che essa nasconde in sé e in cui può essere divisa. Nel
secondo caso (come, ad esempio, in spettattore),
la fusione di due parole in una è più scoperta ed è una forma di
agglutinazione. Questi "fenomeni", o accadimenti linguistici, del
tutto naturali, strettamente connaturati con la lingua, sono stati considerati
dei "giochetti", gratuiti, superflui, eccessivi, da alcuni critici
superficiali, sprovveduti, o, peggio ancora, in malafede, denigratori
intenzionali. Io rispondo a questi pseudo-critici, che
questi "giochetti" non sono una mia invenzione, ma una scoperta di
ciò che è dato nel linguaggio, di cui io sono solo un esploratore. Devo dire
che la soaltà ha fatto propri questi "giochi" linguistici che si sono
rivelati, come i neologismi, epifanici, aprendo significati inediti delle parole e con
essi nuove visioni, permettendomi di scoprire, ad es., l’etica nel corpo
dell’estetica e di edificare così una est-etica,
cioè un’etica fondata
sulla luce dell’«est» che, come abbiamo già detto, è la luce del sogno, dove Bellezza e Bontà si
cor-rispondono, ed è l’essere proprio del mondo, la sua Luce e la sua Legge.
La galassia* delle parole (i tre
sistemi)
Parole/Pianeta
Appartengono a questo sistema le parole che non godono
di luce propria e denominano la natura artificiale, prodotta dall’uomo. Sono
parole legate indirettamente all’uso per cui gli oggetti sono costruiti.
Nell’uso il sogno è annichilito e gli stessi oggetti "scompaiono",
sono obliati.
Parole/Costellazione
Vi appartengono le parole che brillano di luce propria
e che denominano la natura fisica. Sono parole legate indirettamente alle
emozioni che riceviamo dagli elementi naturali, che suscitano in noi un
godimento estetico – basti pensare, ad es. ad un tramonto.
Parole/Cometa
Vi appartengono le parole-guida,
che ci orientano e quelle che denominano elementi che hanno una luce
particolare, che lasciano intravedere una verità assoluta.
*La galassia comprende i tre sistemi di parole. Sta a significare la quantità, il numero infinito delle parole, ma anche lo spazio, la distanza infinita da cui le parole tutte provengono. Tutte le parole all’origine abitano in questo spazio lontanissimo dal quale un bel momento vengono fuori e cominciano a viaggiare e giungono fino a noi. Questo spazio potrebbe essere anche molto vicino a noi, potrebbe essere il nostro spazio interiore, uno spazio che duplica lo spazio esterno, infinito, che è lo spazio dell’universo e, forse, perché no?, lo spazio di Dio.
La scommessa
Concludo esprimendo la mia
convinzione che la soaltà è ciò su cui dobbiamo scommettere, se vogliamo uscire
dal labirinto mediatico, dalla nuova caverna platonica e guardare in faccia la
verità. È una scommessa che possiamo vincere se ci lasciamo guidare dalla ragione est-etica che riflette e ritrova il suo senno nella
luce buona della Bellezza; se l’occhio si fa s-guardo soale e non
si lascia ingannare e sedurre dalle immagini virtuali, dai totem tecnologici;
se cresce, soprattutto, l’urgenza di poesia, il bisogno del sentimento estetico
che solo può essere soddisfatto da una realtà che lasci intra-vedere il sogno che la costituisce.
La Bellezza è il miracolo che può farci dono di una simile vista. La Bellezza è
la quarta "virtù" teologale da
contemplare nel teatro della soaltà, o dell’interiorità, e da praticare,
da spettattori devoti, sulla scena del mondo. Sì. L’estasi è la scommessa. Il sogno può
vincerla, senza bisogno di ali.