giovedì 8 settembre 2016

PAROLA sub specie aeternitatis


 (di Giuseppina Rando) 

                                                                            



     Il saggio La via dello stupore nella visione est-etica della soaltà  di Guglielmo Peralta merita di essere attentamente letto perché l’argomento si riveste di pregnante attualità in un’epoca, la nostra,  che di fatto enfatizza la “ destrutturazione “, lo smantellamento della soggettività e della persona fin quasi a frantumarla. Un simile contesto si era già verificato all’inizio del secolo scorso (la riflessione filosofica sul postmodernismo non era ancora materia di dibattito!) quando il filosofo tedesco Nicolai Hartmann scriveva: “La vita dell'uomo d'oggi non è propizia all'approfondimento… L'uomo moderno non è solo quello della fretta senza riposo, ma è anche lo stordito, svagato, l'uomo che nulla più eleva, prende, e commuove interiormente…Anzi fa virtù della sua superficialità”; incapace di meraviglia e di entusiasmo ama “scivolare sopra tutte le cose senza essere toccato da nulla, è un comodo modus vivendi. Perciò si compiace della posa di superiorità, che nasconde la sua interiore pochezza.” (Etica ,1926- I)
     A Guglielmo Peralta, studioso e attento osservatore dei comportamenti sociali, non sfugge il  processo di reificazione e di omologazione in atto con la derivante scomparsa delle differenze autentiche tanto da offrire, in questa sua ultima pubblicazione, un possibile argine a tanta deriva restituendo dignità e valore alla persona.
     Un saggio che affascina  il lettore per chiarezza e al contempo profondità di pensiero.
     In una struttura di impianto filosofico e con una prosa stilisticamente poetica, l’autore rileva   come la dimensione conoscitiva ed oggettivante non risolve le diverse problematiche per cui urge  ridare valore alla sfera spirituale dell’uomo: emozionalità, volitività, intersoggettività fanno di ognuno di noi, di ogni singolo una realtà “personale” che si significa e che si può rapportare al mondo circostante non unicamente nella modalità del conoscere e del sapere, ma anche con la singolarità dello sguardo, della creatività, della visione, dello stupore, della parola ontologicamente fondata. Concetto questo che Peralta mette in evidenza già in esergo riportando un pensiero di Karol Wojtyla:

 Io credo che l'uomo soffra soprattutto
per mancanza di visione.
Si soffre per mancanza di visione.
Deve allora aprirsi la strada fra i segni
fino a ciò che gravita dentro
e che matura come frutto nella parola

e poi via via lo riprende in ogni pagina del testo fino a scrivere che "riempirsi gli occhi di stupore è riscoprire il Paradiso".
    Non è  una sorta di rifugio nella trascendenza, ma un ritorno alla libertà della “persona spirituale" a quel soggetto “finito" tra esseri "finiti" che riesce a vedere spiragli di luce nell’aprirsi all’ "Essere" nella sua totalità di finito e infinito, di realtà e sogno, apertura possibile tramite il potere creativo connaturato alla "parola".
      Dalla Genesi ( 1,3-4 ) apprendiamo che la creazione avviene per un atto di “parola”. Dio dice: “Sia la luce” e "La luce fu". Nomina e subito le cose assumono uno stato ontologico.
     E ancora nel Nuovo Testamento, nel quarto Vangelo, Giovanni esordisce: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
     Dio non creò quindi il Verbo perché la Parola è Dio stesso.
     E la parola Una si fa molteplice e diventa - come scrive Agostino - “le parole dell’uomo“, parole che, utilizzate consapevolmente, rivelano la propria intrinseca forza creativa.
     Ed è proprio il potere “creativo“ della parola la cifra che qualifica il saggio “La via dello stupore nella visione est-etica della soaltà" , dove  Guglielmo Peralta,  poeta e scrittore - come si è già accennato -  indica all’errare umano una nuova via di salvezza: la ricerca di parole nuove, parole di verità, capaci di elevare, parole che rendono leggibile il mondo.
     Intimamente lacerato e convinto della inautenticità della logica comune e dominante, l’autore  affonda il proprio pensiero nella radice silenziosa dell’Essere con cui stabilisce un dialogo fondato sull’ascolto di quel silenzio ricchissimo di potenzialità che il frastuono e i fatti della storia hanno svuotato di senso.
      Ponendosi all’ascolto dell’Essere ne coglie il linguaggio aurorale, il guizzo di luce che dà origine a nuove parole, parole che “sanno”  vedere oltre le apparenze “un’epifania che riempie di meraviglia il cuore e la mente discoprendo la vera natura del mondo e delle cose”.
     Soaltà, fondendo in sé sogno e realtà, svela la visione di uno “spettacolo infinito”, apre ad una realtà altra. “E questa realtà è il sogno che edifica il mondo e ne garantisce l’esistenza reale. Soaltà è parola eponima che nomina il mondo interiore o della soggettività”.
     In questo personalissimo palcoscenico “dietro le quinte dell’occhio, lo s-guardo, unico attore e spettatore, dà inizio allo spettacolo”. Spettacolo che rimanda il lettore allo stupendo poemetto di Rainer Maria Rilke Vita di Maria di cui si riportano alcuni versi:

  L’angelo curvò verso di lei un viso
di giovinetto; lo sguardo di lui e il suo s’incrociarono
come se tutto fosse vuoto a loro
e come se quello che milioni d’altri sguardi hanno cercato,
raggiunto, sopportato
fosse in loro penetrato: solo lei e lui; guardare e guardato,
 occhio e gioia dell’occhio…
Ed entrambi provarono timore.
Allora l’angelo cantò la sua melodia.

      Come la melodia dell’Angelo rilkiano il “giardino soale“ di Peralta unito a “l’implume conoscenza,  prende il volo sulle ali del sogno pantocratore… La soaltà, che nella luce “estiva” si palesa, è la visione che ac-coglie il mondo nella sua unione di sogno e realtà correggendo la conoscenza difettiva che abbiamo di esso a causa dell’occhio, il quale, incapace di discernere il sogno, dà carattere di evidenza a una realtà, che il pensiero riflettente giudica pura apparenza lasciando indovinare, al di là di essa, una realtà altra. E questa realtà è il sogno che edifica il mondo e ne garantisce l’esistenza reale.”
     Nella soaltà di Peralta sembra, quindi, svelarsi il mistero dell’incontro tra cielo e terra, tra divino (sogno) e umano (realtà) tra infinito e finito; e soltanto chi riesce a cogliere il guizzo di quella luce arcana può vedere con occhi nuovi il mondo e superare ogni timore: "Quando si apre la scena, quando le porte del tempio si spalancano e appare la diafana visione, un godimento, un senso di beatitudine pervade il sognatore e lo incanta ripagandolo dall’angoscia".
     Parola priva di nominazione è soaltà, priva di ogni collocazione spazio/temporale e di  apparenze,  incarna l‘Im-possibile, parola che è  la cosa stessa  sub specie aeternitatis, parola che trasforma e rinnova e guida all’esistenza vera.
      L'esigenza di Peralta sembra quindi quella di ridefinire l'etica nella direzione di una rivalutazione della vita  dello spirito come primario veicolo delle essenze valoriali…”Lo spirito è l’essere e il principio del mondo. In quanto essere, è infinito presente, ossia presenza eterna e in(di)visibile….E il sogno è lo spirito e la realtà stessa. Il sogno, dunque, è la presenza necessaria per l’a-venire del mondo, il quale è la venuta dello spirito, la sua "a-posteriorità", l'avvento dell'essere nella forma dell’ex-sistenza, o del non-essere, che non è la negazione dell'essere, ma il modo diverso di essere dello spirito, ovvero, il suo modo di essere molteplice e diversamente  infinito.”
     L’autore indica così momenti di esperienza che la persona coglie come verità di sé, e in cui essa si identifica, momenti che si incarnano soprattutto in rapporti con l’altro da sé e in questa trasposizione del sé rende l'oggetto, ossia la realtà, forma funzionale dello spirito.
     “La soaltà non è una visione metafisica né astratta, ma doppiamente realistica.”… e ancora, si legge: “Essere realisti è toccare il sogno nel corpo della realtà e costatare che questa non è solo materia, natura morta, ma spirito, perché tale è il sogno che la anima. Riconoscere la natura intima delle cose, in virtù degli occhi educati dallo sguardo che ne rivela l’essenza spirituale, significa restituirle alla loro trascendenza, al loro “essere” disincarnato e proclamare la loro resurrezione”.
È lo sguardo penetrante del “sapiente” che sa scoprire nelle realtà, anche minime, segnali di vita e di bellezza, lo sguardo illuminato del credente che sa cogliere in esse l’impronta del Creatore.    Bellezza connaturata all’Essere creatore che si riflette nel creato, come splendore del vero.
      La Bellezza acquista così consistenza e concretezza, non è più una realtà effimera e transitoria,
ma qualcosa che muove la libertà dell’uomo-persona sul piano etico. Un rimando - a mio avviso - a Marx Scheler, il filosofo tedesco che in Ordo amoris scrive: “all'essenza del mondo morale appartiene il fatto che esso si manifesti, proprio nel caso della sua massima perfezione, nello spazio del bene oggettivo e universalmente valido, in una pienezza mai definitiva di individuali uniche formazioni assiologiche…”,  vale a dire che ciascun individuo ha una vocazione.
      Tale vocazione, se riconosciuta e accettata, sostiene Peralta, porta alla luce il posto peculiare che spetta a un determinato soggetto nel piano salvifico del mondo.
     Etica ed estetica così si completano nella contemplazione della Bellezza e ogni atto morale viene vissuto più intensamente.
     Nella contemplazione o stupore permane una tensione razionale che si traduce in lucidità di sguardo, commosso e capace di riconoscere la Bellezza.
       In questa pregevole e singolare opera dai risvolti est-etico/filosofici, Guglielmo Peralta, poeticamente, restituisce visibilità alla Bellezza e indica una nuova e perseguibile via di salvezza,  quella di lasciarsi affascinare dalle meraviglie dell’Universo, altrimenti come scriveva l’intellettuale  inglese Gilbert Chesterton l’uomo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia, cioè di stupore, di contemplazione, di profondità interiore.





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